Quando il Golden Gala ricompose il boicottaggio
Erail 1980, e nessuno, neanche il più ottimista tra gli osservatori, avrebbe potuto immaginare un miracolo organizzativo di tali proporzioni per il battesimo del meeting. Di miracolo, politico, si trattò in realtà. Rossi e neri, bianchi e gialli, statunitensi e sovietici e tedeschi dell'una e dell'altra parte del muro della vergogna, tutti insieme, a Roma, nella sera del 5 agosto, appena cinque giorni dopo l'epilogo olimpico che aveva confermato, con il plateale boicottaggio di molti paesi occidentali avverso l'invasione sovietica in Afghanistan, quanto nulla contassero le ragioni dello sport dinanzi alla crudezza della politica e della ragion di stato. Il miracolo portò la firma di Primo Nebiolo, presidente della federazione italiana e l'anno successivo di quella mondiale. Non era vergine ad imprese del genere, il dirigente torinese, avendo in passato più volte messo d'accordo oriente ed occidente ed essendo riuscito, primo di nome e di fatto, a portare i cinesi in Italia e l'Italia in Cina. Ma quanto realizzò in quell'occasione stupì il mondo sportivo. Calce viva per le attese dei tifosi, ai Giochi di Mosca l'atletica nazionale aveva reso bollenti i tubi catodici con i successi di Simeoni sulla pedana dell'alto, di Mennea sui 200 metri e di Damilano nella marcia. L'Olimpico aveva cinquantaquattromila posti a sedere. Non ne rimase uno vuoto. Tribune, curve, strette come sardine, bagarini ai cancelli, carabinieri a cavallo a disciplina delle migliaia di persone rimaste fuori. Il cerimoniale fu austero e raffinato nella sua semplicità: inno nazionale, alzabandiera, tutti in piedi, in silenzio, e fu un silenzio che gelò l'anima, in memoria dei 76 massacrati tre giorni prima da menti e mani infami alla stazione di Bologna. Gli atleti fecero la loro parte. Battendo giamaicani e statunitensi Pietro vinse i 200 in 20.1, Sara s'elevò a 1.98, Maurizio fece nobile passerella, Edwin Moses spadroneggiò sulle dieci barriere, nei 1500 Gabriella Dorio giunse ad un soffio dalla biologia manipolata ed ossuta d'una sovietica, Tatiana Kazankina, olimpionica giorni prima su una pista casalinga sottratta all'antidoping. Sulla dirittura dei 100 metri, secondo in 10.23 alle spalle del connazionale Floyd, corse anonimo un diciannovenne dell'Alabama. Due anni prima, profeta di se stesso, aveva vaticinato: diventerò il più forte lunghista di tutti i tempi. Farà di più, Carl Lewis. Ai quattro titoli olimpici nella specialità preferita, aggiungerà altre cinque perle in velocità.