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Ma quali duellanti? Un Brasile autentico, almeno fino a quando ha avuto voglia di divertirsi, per i campioni del Mondo scialbe controfigure senza gambe e senza idee.

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Tresquadre alla pari, a distanza siderale dal Brasile, ma è la differenza reti a decidere. La rete della promozione non è arrivata, stavolta lo stellone non ha funzionato, si lascia mestamente questa Confederations Cup dai significati modesti. L'Italia questa avvilente parentesi se l'è costruita con le proprie mani, senza attenuanti. Lippi aveva deciso che ci volesse una cerniera sulla sinistra, per frenare gli slanci di Maicon, in realtà il povero Dossena era abbandonato, Iaquinta ha pagato il suo totale disinteresse con la sostituzione poco dopo la mezz'ora. Ma il Brasile era già in vantaggio, bravo Luis Fabiano ad agganciare un tiro sbilenco di Maicon, dopo avere colpito due traverse, Ramires e deviazione infelice di De Rossi. Brutte notizie per la Roma, Juan ancora fuori per guai muscolari, dentro Luizao, ma Lucio poteva permettersi scorribande nell'area italiana, nella sua solitamente si diverte poco. Ma non c'era partita, altri ritmi, altre giocate, Zambrotta una frana, gli altri con rari sprazzi salvabili, inevitabile che il primo tempo dominato dai verdeoro producesse un'umiliazione per i nostri, progressi soltanto nel colore dei pantaloncini e dei calzettoni, dal marrone al bianco. Ancora a segno Luis Fabiano su scambio stretto con Robinho e Kakà, infine l'autogol di Dossena, ultimo chiodo sulla bara del match, vana la mano tesa offerta nello stesso periodo dagli States, che hanno creduto nell'impresa e l'hanno infine vista materializzarsi. Noi li avevamo battuti, senza entusiasmare, in semifinale arrivano loro, i meno attesi. La ripresa, giocata con il cuore, non ha evitato la condanna.

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