Una sfida che va contro la tradizione
Manon è tempo di favole, l'ennesima sfida tra Italia e Brasile vale quanto le sorellastre brutte di Cenerentola, nulla a che vedere con un passato che parlava di finali o semifinali mondiali. Alla Confederations Cup gli Azzurri non avevano mai partecipato, un'esperienza nuova che forse valeva la pena risparmiarsi. Si va a tentare un'impresa autentica, battere i brasiliani e un gol di scarto potrebbe non bastare, a meno che agli Stati Uniti non riesca il miracolo di imbalsamare i Faraoni, in un girone che non ha ancora espresso un verdetto matematico, perfino gli americani possono sperare in un arrivo a tre alle spalle del Brasile, per concedersi calcoli sulla differenza-reti. Per quanto si è visto finora, l'Italia attuale sembra distante dai grandi rivali tradizionali, che stanno anche mostrando di divertirsi, mentre i nostri vecchi campioni di Germania arrancano. Forse il logorio della stagione sta pesando, anche se altri protagonisti del nostro campionato, quelli di lingua portoghese, corrono come spie. Forse i bravi ragazzi di Lippi hanno sofferto una crisi di identità guardandosi allo specchio con quell'orribile completo celeste e marrone, per il momento anche vagamente iettatorio. Visto che forse un confronto sul piano tecnico, e soprattutto atletico, sembra improponibile, resta da sperare in un'impennata di orgoglio, di quelle che l'Italia ha saputo produrre nei momenti più difficili, quelli lontani nel tempo, ma anche quelli relativamente recenti dell'ultimo Mondiale. Per far lievitare le nostre chances si fa appello anche alla scaramanzia, nessun giocatore in conferenza stampa, la protesta rivolta all'epiteto «mummie» creato dalla Gazzetta dopo lo storico tonfo contro l'Egitto, sperando che il silenzio possa riproporre il miracolo spagnolo. Anche se, personalmente, trovo il termine più ironico che irriverente, nei giorni di Vigo ben più pesanti erano state le invenzioni di una certa stampa, vedi l'idillio tra due giocatori, sul quale gli stranieri non hanno scherzato. Molto fiducioso il cittì, che ritrova gli accenti tedeschi, per lui si può fare il colpo: meglio vivere di sensazioni che affidarsi alla cruda realtà. Anche perché arbitrerà il messicano Archundia, quello che aveva diretto gli Azzurri nei due trionfi con la Repubblica Ceca e la Germania. Però in tre anni molte cose sono cambiate, e non in meglio. Di là, sarà il Sud Africa, secondo accorti programmi, ad accompagnare in semifinale la Spagna, quindicesima vittoria consecutiva, record mondiale, gol di Villa a Llorente.