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Rossi e De Rossi: quei due fenomeni con gli Stati Uniti nel destino

Danielle De Rossi e Giuseppe Rossi

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Gli Stati Uniti nel destino. Giuseppe Rossi, nato nel New Jersey, entra a rilevare Camoranesi, ruba palla, inventa il sinistro che scaccia l'incubo. Daniele De Rossi, deve cancellare il rosso del Mondiale contro gli americani, tutta la rabbia accumulata nel destro basso che incenerisce Howard e sigla il vantaggio, quello che vale i tre punti in una partita giocata, male, per un'ora in superiosità numerica, e molto sofferta soprattutto sul piano atletico. Poi arriverà il tris, nel recupero, ancora Rossi. Troppi i buchi neri, soprattutto in difesa, De Rossi ancora una volta migliore in campo, ci vorrà altro contro il Brasile e forse contro l'Egitto. Nove campioni del Mondo in campo, nuova soltanto la coppia centrale di difesa, non occasionalmente un mezzo disastro. Veniva voglia di cercare, tra quelle maglie celeste slavato, i volti di Forlan, Abreu e Lugano, quella era la divisa classica degli uruguagi, magari l'inventore di questa boiata avrà anche avuto lauta remunerazione. Meglio, da subito, gli americani, più disinvolti nella manovra, più reattivi, da parte italiana il solo De Rossi impeccabile, qualche bella folata di Grosso, Pirlo poco lucido, le punte ai margini. Le cose non sono cambiate quando l'arbitro ha mostrato il rosso a Clark, molto severo, nonostante la superiorità numerica tante sofferenze sui lunghi lanci per Altidore. Questo ragazzo ha origini haitiane, facile evocare lo spettro di Sanon, trentacinque anni fa in Germania, Legrottaglie e Chiellini col mal di testa, come allora Spinosi. Occasioni autentiche poco o nulla, reso vano l'autogol di Bornstein dal fuorigioco di Camoranesi. Il peggio sarebbe arrivato al 39', Chiellini irriso da Altidore, rigore solare, generoso il giallo per il difensore, impeccabile Donovan dal dischetto. Nella ripresa i cambi felici di Lippi, due prodezze balistiche, decisive. Arduo trovare motivi di conforto, per gli italiani, nelle sofferenze patite dal Brasile per piegare l'Egitto su rigore, ineccepibile, a tempo scaduto. Raggiunti da un fulmineo uno-due in avvio di ripresa, a vanificare il doppio vantaggio, i verdeoro hanno rischiato il peggio, prima del fortunato episodio conclusivo. Inguardabili Robinho e Lucio, tutti dalla sua parte i gol, bene Juan, ancora a segno, e Felipe Melo, ma la nota per noi allarmante va individuata dal livello del campioni d'Africa, pur orfani di Zaki. Buona disposizione, alto tono atletico, un paio di campioni autentici come Zidan e Aboutrika. Questo insomma è un girone vero, nel quale nulla è scontato, troppo accentuato il gap rispetto al Gruppo A, nel quale la Spagna può lanciarsi da un quinto piano sicura di trovare ad accoglierla una vistosa colonna di materassi come Nuova Zelanda, Iraq e lo stesso Sud Africa. Comprensibile l'esigenza di assicurare una samifinale ai Bafana Bafana, ma tutto dovrebbe esservi un limite. Comunque, se gli spagnoli giocano come sanno, difficile non indicarli come i favoriti numero uno di questa Confederations Cup.

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