Confederations Cup, prove di Mondiale

{{IMG_SX}}Prove tecniche, per formazioni che nel prossimo anno potrebbero recitare un ruolo da protagoniste, prove di efficienza per una realtà complessa e contraddittoria come quella del Sud Africa. Lontani i tempi dell'odioso apartheid che aveva escluso i sudafricani dalle grandi competizioni sportive internazionali, il Paese cresce, tra inevitabili sofferenze e disagi, ma promette di regalare una cornice all'altezza per il quadriennale appuntamento con il più grande evento del calcio. Parte oggi, con i primi due confronti, la Confederations Cup, che allinea ai nastri di partenza gli alfieri dei rispettivi continenti, più l'Italia campione del Mondo in carica e gli anfitrioni del Sud Africa: la Spagna per l'Europa, l'Egitto per l'Africa, il Brasile e gli Stati Uniti per le Americhe, l'Iraq per l'Asia, la Nuova Zelanda per l'Oceania. Otto rappresentative divise in due gironi, chiusura il 28 gugno con la finale, in semifinale la prima e la seconda dei due gruppi. Guardando alle squadre più attese, posizione di privilegio per la Spagna, non sembrano proporre opposizione ragionevole né i padroni di casa, nonostante un entusiastico appoggio popolare, né i sorprendenti iracheni, men che meno gli «All Whites», come vengono chiamati i neozelandesi per distinguerli dai ben più prestigiosi «All Blacks» del rugby. Si parte dunque nel pomeriggio con i «Bafana Bafana» che, se non fossero inseriti di diritto nella fase finale come Paese ospitante, non sarebbero stati ammessi, fuori dalle quelle qualificazioni che per loro hanno significato addio forzato alla Coppa d'Africa 2010. Due volte al Mondiale, 1998 e 2002, i gialloverdi di Joel Santana hanno poche frecce al loro arco, già difficile questo primo confronto con l'Iraq. Non qualificati per la prossima edizione, gli asiatici si presentano con un biglietto da visita importante: li guida infatti un vecchio e simpaticissimo amico, Bora Milutinovic che aveva portato alle fasi finali Nazionali non illustri, come il Messico, la Costa Rica, gli Stati Uniti e la Nigeria. Serata facile per la Spagna che Del Bosque ha ereditato da Aragones, trentuno partite senza sconfitte per i campioni d'Europa che però, a differenza di Italia e Brasile, non hanno mai vinto una Coppa del Mondo. Difficile che i neozelandesi possano lontanamente sognare i piccoli squarci di visibilità regalati dall'Italia, e sia pure in amichevole. Appena numero 82 del ranking Fifa, la Nuova Zelanda è tuttavia a un passo dall'approdo al Mondiale del prossimo anno, del resto neanche l'Italia, con tutta la sua storia e tutta la sua tradizione, ha ancora messo al sicuro il passaggio del turno. Se proprio si vuole cercare un «black horse» in questa fase iniziale a gironi, giusto assegnare il ruolo all'Egitto, che in Africa domina anche a livello di club, dodici vitttorie in Coppa dei Campioni sulle complessive 44 edizioni. Gli Azzurri, che domani sera entreranno in gara contro gli Stati Uniti, stanno accusando un po' i disagi dell'altitudine (il termine altura appartiene al mare), i 1700 metri di Pretoria. Non potevano essere in grado di trovare rimedi come quelli del primo mondiale messicano: Leonardo Vecchiet, che purtroppo ci ha lasciati, consigliò la partenza anticipata e tanti allenamenti a Toluca, quattrocento metri più in alto dei 2300 di Città del Messico. Così, nel quarto di finale in alta montagna con i padroni di casa, furono questi ultimi a scoppiare letteralmente nella ripresa, loro a quella quota non avevano mai svolto una sorta di preparazione. Altri tempi, naturalmente, altri livelli di importanza, questa coppetta, che rende molto felice Blatter, non ha diritto a così meticolose attenzioni.