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Anche se in F1 quel che sembra vangelo oggi diventa spesso falso domani, credo che dopo il Gp di Turchia sia ormai arrivato il momento di chiamare le cose con il loro nome.

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Percui i giudizi ispirati dalla gara di ieri, che ha confermato in pieno quelli delle precedenti, possono venir considerati l'epitaffio da incidere sulla lapide del Mondiale 2009, un campionato nato morto a causa della scandalosa doppiezza regolamentare consentita (se non addirittura voluta) dalla Fia di Mosley. Il primo giudizio, che cancella un frettoloso pregiudizio, riguarda Button. È vero che guida la miglior monoposto e che non ha opposizione neppure all'interno della squadra, ma l'ex-enfant prodige d'Inghilterra sta mettendo molto di suo nel dominio della Brawn. Altro che «paracarro», come l'aveva battezzato Briatore e come tutti, me compreso, c'eravamo pappagallescamente messi a ripetere. Non appena ha avuto sotto al sedere una macchina vincente Button è tornato quello che sei-sette anni fa aveva fatto sognare all'Inghilterra di aver dato i natali al nuovo Schumacher. Proprio come Schumi, Jenson non è infallibile in qualifica ma in gara sa tenere un ritmo elevatissimo per lunghe serie di giri: arma che spezza le gambe agli avversari e spegne il loro animus pugnandi. Soltanto l'assurdità di un sistema di punteggio che sembra fatto apposta per penalizzare chi vince le singole corse gli impedirà di laurearsi campione fra luglio e agosto. Il secondo giudizio (che fa giustizia degli eccessi di entusiasmo nei suoi confronti, cominciando proprio da quelli del sottoscritto) riguarda Sebastian Vettel. Ieri il tedeschino ha commesso il secondo errore consecutivo dopo quello di Montecarlo, il terzo della stagione. Troppi, per uno che aspira a diventare iridato a 22 anni. Fermo restando che è imbattitibile sul bagnato e che prima o poi l'iride sarà sicuramente suo, Seba ha ormai confermato di non avere la maturità necessaria a sfruttare appieno le occasioni che questo irripetibile campionato, orbo di Ferrari e McLaren, sta offrendo alle cosiddette «seconde linee». Le ossa deve ancora finire di farsele. Il terzo giudizio, purtroppo, riguarda, impietosamente, la Ferrari. Istanbul, una delle sue piste preferite, doveva vederne la rinascita. Invece è finita in una catastrofe per certi versi peggiore delle precedenti, perché le F60B aggiornate con il frutto del durissimo lavoro svolto a Maranello sono tornate a oltre mezzo secondo al giro di distanza dalle macchine migliori, venendo scavalcate pure da Toyota e Williams. Capire i motivi di questo crollo non è facile, da fuori, ma la realtà non può più essere negata. Ultimo giudizio per il Mondiale 2009: sempre più noioso, senza spettatori in tribuna e inguardabile in tv. Se tutto saltasse davvero in aria e nel 2010 si ripartisse ex novo ci sarebbe da festeggiare.

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