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Il nostro calcio paga un conto salato

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Chiper i soldi, chi per la scelta di vita - che poi è la stessa cosa - chi perché il club indebitato deve fare cassa. Perdiamo campioni e stars a ritmo frenetico: Kakà, Ancelotti, forse Pirlo, probabilmente Ibrahimovic, e le «importazioni» per ora, si fermano a Diego, bravo, ma non certo fenomenale. Il calcio italiano è in crisi. Non può permettersi di sognare Gerrard o Messi, Cristiano Ronaldo o Lampard. Perché i soldi sono finiti e perché la gestione complessiva del sistema calcio è destinata a fallire. Stadi obsoleti che non vengono rifatti - a parte la Juventus - e che resistono con lifting discutibili: l'Olimpico è bellissimo per la finale di Champions, ma - come dice il nome stesso - non è stato concepito per il gioco del pallone. E poi il sistema fiscale, che certamente di penalizza rispetto alla Spagna. Ma il quaderno delle doglianze dei nostri dirigenti, fa il paio col loro comportamento scriteriato in questi ultimi anni. Come se i soldi dei diritti televisivi fossero per tutti un pozzo inesauribile; come se investire nei vivai fosse disdicevole, o addirittura vietato; come se puntare su giovani talenti stranieri, per farli crescere nelle proprie società, fosse solo un colpo di fortuna, come quello dell'argentino Messi alla corte del Barcellona. Così, proprio alla vigilia della Canfederation Cup che ci ricorda che siamo i campioni del mondo, il nostro pallone si guarda finalmente allo specchio e non può certo piaceresi. Se il Milan prova a vendere Kaka prima al Mancheter City - col giocatore che rifiuta il trasferimento - e poi non lo può trattenere se l'offerta del Real Madrid è esattamente della metà, significa che qualcosa si è sbagliato. Il presidente rossonero Berlusconi continua a ripetere che Ancelotti non lo ha seguito nelle sue strategie tattiche. Che avrebbero permesso al Milan di vincere. Ma la doppia puntata su Leonardo e soprattutto sull'imbolsito Ronaldinho, sembra un azzardo degno del miglior giocatore al casinò. E se uno abituato a buttare i soldi dalla finestra - non ce ne voglia Moratti, ma è così - non riesce a blindare il suo pupillo vincente Ibrahimovic, significa proprio che i vertici del nostro pallone sono in sofferenza. Ma non è colpa dei mercati e della crisi globale. Solo di presidenti miopi che sono allergici a una qualità: il coraggio di programmare.

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