È la «Pulce» che vince, il Pallone d'Oro, invece, non trova il gol anche se lo cerca sempre e comunque.
Elui, la «Pulce» Leo Messi, finalmente nel paradiso degli dei del pallone. Il ragazzo di Madeira è ispirato. Si vede che per lui la finale è qualcosa di conosciuto. La «Pulce» non vede palla per dieci minuti, quando Cristiano, col capello ingelatinato e la corsa irresistibile fa vedere che destro e sinistro per lui sono la stessa cosa. Dieci minuti di show, poi, però, dall'altra parte ecco Samuel Eto'o. E la storia, l'inerzia del secondo tempo, cambiano. Diventa: Cristiano Ronaldo contro Barcellona. Messi si vede poco. Il piccolo folletto fatica a trovare posizione, fatica a carburare. Sbaglia passaggi e misure, sembra improvvisamente troppo piccolo per questa finale di giganti. Ma la sua squadra cresce. E come se cresce. Forte del vantaggio, sgonfia il Pallone d'Oro e da solo tiene alto il vessillo dello United. Niente Rooney, niente Park, Giggs fuori gioco. Invece il Barça: che gioco, che ritmo, che bellezza. Certo, per la finale sarebbe lecito attendersi sempre cose straordinarie, ma quando c'è di mezzo la storia, si ha paura a sbagliare. Cristiano va di testa, Leo risponde finalmente con un tiro dei suoi. Però, ecco, dopo la mezz'ora i crampi allo stomaco, quel «buco» chiamato emozione spariscono. E il piccolo argentino torna ad ispirare il suo sinistro magico. Cala invece, solo come una cattedrale nel deserto, quel fenomeno di Ronaldo. Adesso i ruoli sono invertiti. E il finale del primo tempo è ispiratore di quello che accadrà, lo scatto di Leo sembra coerente al famoso spot: nulla è impossibile. L'intervallo è un Zerovital per il Barça padrone del campo. Iniesta va, Xavi prende il palo: che spettacolo. Ronaldo si innervosisce. Sembra capire come andrà a finire. Leo è in agguato. L'apoteosi scoppia dopo un'ora e dieci minuti di poco e niente. Lui, il più piccolo di tutti, la «Pulce», che fa gol di testa. La partita non ha più storia. La festa è tutta catalana. La Pulce, finalmente, può salire sopra un Pallone d'Oro. Quella Coppa grande, grande, nelle sue mani è la conclusione ideale di un bimbo che affetto da nanismo, grazie alla volontà e alla classe è diventato un gigante del calcio mondiale.