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Non sarà uno scudetto, ma il fascino di «scucire» la coccarda è esilarante

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Speciese, dopo cinque anni di incertezze e di paure, di contestazioni, tribolazioni più o meno grandi, si è imboccata la strada giusta. Primo trionfo della gestione Lotito. Gestione non più «alle vongole», ma con campioni veri, attaccati alla maglia, soffiati alla concorrenza con abilità, come nel caso di Mauro Zarate. Perché nell'immaginario del tifoso laziale è proprio l'argentino il simbolo di questo trionfo. Un filo biancoceleste che parte dal vertice dell'area di rigore, quello sotto la Tevere, che punta verso la porta davanti alla Curva Sud. Impressionante la similitudine tra il gol alla Roma nel derby di un mese fa e quello che ha dato l'impronta alla finale con la Sampdoria. Poi certo, le parate di Muslera - altra scommessa di mercato vinta dopo tante tribolazioni - e il resto della squadra. Ma, diciamo la verità, è Zarate che i tifosi della Lazio adorano. E che invidiano tanti altri, primi tra tutti quelli della Roma che fanno i conti con lo sfottò sacrosanto dei laziali. Sì, una Roma da «sero tituli» come dice Mourinho, uno che, nel bene e nel male, diventa di moda anche nel lessico del nostro pallone. Così, il derby dell'autunno, quello segnato dal gol di Baptista che salvò la Roma dalla lotta retrocessione, si perde nel tempo. La rivincita laziale è strepitosa: derby di aprile stravinto, e Coppa Italia soffiata alla Roma nell'albo d'oro del trofeo della Lega. E poi, la grande festa di un Olimpico tornato ad essere una casa vera per i tifosi biancocelesti, con le immagini televisive che mostrano come anche il settore basso della Tevere sia pieno zeppa di gente con i colori biancocelesti. Insomma, una festa vera, con l'ansia dei rigori e con la gioia doppia di una vittoria sofferta. Festa all'Olimpico, festa per strada, proprio mentre la Roma non sa nulla o quasi del proprio futuro. Una soddisfazione in più per il popolo laziale. Che, rispetto a quello romanista, ha la certezza che il domani non sarà gonfio di incognite.

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