La dirigenza ammetta le sue colpe

Lungala lista dei colpevoli, puntualmente messi in castigo. Ha più di una giustificazione, naturalmente, lo sdegno della dirigenza romanista dopo la resa di Firenze, però è legittimo domandarsi se all'appello non manchi qualcuno, e non di secondo piano. Un posticino sul banco degli imputati, in custodia cautelare con il forzato ritiro imposto (e poco gradito al tecnico e ai giocatori), nel maxiprocesso che si sta celebrando a tutti i livelli, avrebbe dovuto ritagliarselo anche la società, firmataria del comunicato-ukase. Dei problemi tecnici che hanno decretato forse la fine di un ciclo da sogno si è fin troppo discusso: e non bastano per l'assoluzione le attenuanti dei ricorrenti infortuni invocate dalla difesa. Per la prima volta nel suo quadriennio, Spalletti ha sbagliato qualcosa, discutibile l'insistenza su un modulo non più sorretto da interpreti logori, Taddei e Perrotta su tutti, o inadeguati secondo le alternative proposte da un mercato attento più all'immagine che a reali esigenze. Ma dalla società si attendono ancora risposte affidabili su altri temi: dall'inconsistenza ormai annosa della comunicazione, a un'impiantistica, i campi di Trigoria, che ha prodotto guai fisici a catena, a uno staff medico capace di suscitare fin troppi interrogativi. Non fini a se stessi i tanti infortuni, i problemi vanno ricondotti soprattutto alla fretta nei recuperi: che hanno riportato in infermeria per lunghi soggiorni giocatori che avrebbero preteso più pazienti cure. Lo stesso Totti, che continua a regalare numeri di alta scuola, è visibilmente a disagio nei movimenti, dal ginocchio tormenti assidui, gioca e dovrebbe stare a casa. Come Doni, del resto, i cui guai fisici erano apparsi evidenti a tutti: pure, doveva andare in campo a metterci la faccia, senza poter garantire accettabile rendimento. Non si vuole infierire, ma come si fa a non chiedersi come la società avesse ignorato, tra le priorità del mercato estivo, l'arrivo di un secondo portiere che non procurasse crisi di tachicardia per i tifosi, e purtroppo anche per i compagni di una difesa divenuta colabrodo. Nel processo, anche i giudici della Corte più alta sono obbligati a qualche meditazione.