Il commento

Perchénon posso fare a meno di chiedermi come sia stato possibile che una squadra così - una squadra come quella che ha dato lezione di calcio e di sportività alla Juventus sul suo campo, e che nei dieci giorni precedenti aveva stroncato la Roma e segato le gambe alla compagine più osannata della Serie A, il Genoa - come sia stato possibile, dicevo, che una Lazio capace di esprimersi a questo livello abbia disputato un campionato così schizofrenico e sconfortante come quello ci vede galleggiare, malinconici, fra il sesto e il decimo posto. I motivi di tristezza, poi, sono due. Perché dopo aver visto un'altra delle prodezze di cui è capace quel fenomenale giocatore che risponde al nome di Mauro Zarate non posso fare a meno di chiedermi come sia stato possibile che uno dei fattori che più hanno contribuito a mettere in crisi Delio Rossi e, di conseguenza, gli equilibri della Lazio, sia stata proprio la sua bravura. Quando Tommaso Rocchi guarì dall'infortunio subìto alle Olimpiadi, a novembre, Rossi ruppe il giocattolo perché, per reinserirlo a forza, fece quella tragicomica pensata del tridente. E Zarate si è sempre limitato a tollerarlo, anziché farne un punto fermo. Okay, lasciamo perdere. Non è la serata giusta per recriminare. Stasera dobbiamo soltanto gonfiare il petto e prepararci, domani, a sfottere i cugini romanisti, quelli che dovevano vincere tutto e che invece il 13 maggio, in quell'Olimpico dove sognavano di conquistare l'Europa, correranno forte il rischio di doversi scucire dal petto il cerchietto tricolore della Coppa Italia per consegnarlo a mani biancocelesti. Stasera dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi, e non soltanto perché la nostra squadra è stata grande, grandissima in campo ma anche perché è stata finalmente una Lazio imbevuta di lazialità. E solo chi è laziale fino in fondo può capire che cosa voglio dire.