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Quando la tv mortifica lo spettacolo sportivo

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Italiae Brasile si giocano al Rose Bowl di Pasadena la finale dei Mondiali Usa di calcio. Per permettere agli europei di assistere alla partita in un orario appetibile, si scende in campo alle 12.30 locali (le 22.30 italiane). La temperatura è di 30 gradi, con punte di umidità altissime. Ne viene fuori un noioso e «sudato» 0-0 che dura 120 minuti e che si conclude dal dischetto con la svirgolata alta di Roberto Baggio. Fu una delle prime circostanze in cui le esigenze televisive intervennero direttamente nello svolgimento di un evento sportivo (e che evento...). Da allora le tv l'hanno fatta da padrone e a nulla sono servite le proteste dei protagonisti. Basti pensare al calcio: una volta si giocava solo la domenica pomeriggio. Ora praticamente tutti i giorni, ma questa versatilità sparisce quando si tratta dell'orario di inizio: sempre alle 15, e poco importa se ad agosto fanno 40 gradi all'ombra e sarebbe meglio, come una volta, iniziare alle 16.30. Per non parlare dei posticipi, sempre alle 20.30, anche d'inverno su campi ghiacciati. E poi ci si lamenta dei troppi infortuni muscolari. E come dimenticare quello che è successo in 8 giorni nel mondo dei motori? Prima i gran premi di Formula Uno al tramonto, con i piloti che protestano per il sole che finisce dritto dritto nelle visiere. Il tutto perché i telespettatori europei non devono essere costretti a una levataccia. Poi la MotoGp serale, con il diluvio che costringe a rimandare tutto al giorno dopo. Così anche le due ruote possono vantarsi di avere il loro spezzatino: due gare la domenica, una al lunedì... Sarà anche vero che i diritti televisivi tengono in piedi l'intera baracca. Ma se i risultati sono questi, la gente avrà ancora voglia di gustarsi lo «spettacolo»? Car. Sol.

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