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quando bartali beffò i velocisti

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Semicongelatocome uno stoccafisso, Eugène Christophe trovò rifugio in un casolare, ingoiò un minestrone bollente, vi aggiunse mezzo litro di vino, salì nuovamente in sella e giunse primo sul traguardo ligure. Era il 1910, quarta edizione della corsa, e fu una delle più micidiali, 63 corridori alla partenza, 7 superstiti su un tracciato sterrato reso magma dalla neve. Sono passate cento edizioni dalla prima d'esordio, firmata anch'essa da un francese, Lucien Petit-Breton. L'Italia ciclistica dell'epoca firmò la sua prima affermazione due anni dopo, nel 1909, con Luigi Ganna. A metà strada del suo cammino, la regina delle classiche visse uno dei suoi momenti epici nel 1950, con il successo di un Gino Bartali ormai trentaseienne, e dunque etichettato come intramontabile e già vincitore nel '39, nel '40 e nel '47. L'uomo di Ponte a Ema beffò i più forti velocisti dell'epoca, compreso l'imbattibile Rik Van Steenbergen, illividito dalla fatica a cinquanta metri dalla riga d'arrivo e inchiodato sul corso Roma insieme con Nedo Logli, Oreste Conte, Fiorenzo Magni, Fausto Coppi e Ferdy Kubler dal superbo stato di freschezza del toscano. Si trattò, per Bartali, di un'apertura stagionale radiosa, preludio della successiva avventura al Tour, quando l'italiano - con Magni provvisoriamente maglia gialla, ma con la vittoria praticamente nelle tasche di Gino per la sua scontata superiorità in salita - reagì agli insulti e alle violenze fisiche di facinorosi tifosi francesi ritirandosi dalla corsa, e con lui l'intera squadra nazionale.

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