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Metamorfosi che fa crescere i rimpianti

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Lametamorfosi della Lazio si sovrappone e trae alimento da quella di alcuni suoi uomini-chiave, a cominciare dall'allenatore Delio Rossi, e sebbene l'indomani di una vittoria così sia il momento meno opportuno per i rimpianti, viene davvero da divorarsi le mani al pensiero di quanto sarebbe stato facile evitare la balorda crisaccia che fra novembre e gennaio ha rovinato una stagione che poteva essere trionfale. Basti pensare che, nonostante quel che è successo dal derby in poi, la Lazio si ritrova a soli 4 punti dalla squadra più forte del mondo... La metamorfosi-chiave, dicevo, è stata quella di Delio Rossi. Dopo essersi intestardito per mesi a schierare il nefasto «tridente», il tecnico ha finalmente recuperato il buonsenso del 4-4-2, restituendo alla squadra gli equilibri che aveva perduto. Da questa metamorfosi-madre sono discese a catena tutte le altre. La più evidente è quella della difesa, che ha smesso di prendere gol a tutto spiano. La maggior protezione da parte del centrocampo ha permesso ai giocatori del reparto arretrato di essere meno esposti a ogni folata di vento avversaria e l'indispensabile pizzico di fortuna (i tre pali del Lecce) ha fatto il resto, restituendo loro fiducia e autostima. Avete visto Cribari? Se penso che Rossi voleva venderlo a gennaio mi si drizzano i capelli. E Muslera? Quanto tempo lo abbiamo invocato prima che il tecnico si decidesse a far fuori colabrodo-Carrizo? Guardatelo adesso, il ragazzino uruguaiano: sembra l'uomo-ragno. Altra metamorfosi: quella di Foggia, uno che Rossi non ha mai visto di buon occhio. Rimesso nella sua naturale posizione di esterno di fascia è tornato irresistibile, degno della Nazionale. Per non parlare della metamorfosi di Rocchi, al quale l'abolizione del tridente ha restituito sia la «fame» (partire dalla panchina è un'ottima cura per l'inappetenza agonistica) sia lo spazio vitale di cui ha bisogno in campo. O quella di Ledesma, che da quando è protetto ai fianchi ed è coadiuvato da una mezzala d'altri tempi come Matuzalem ha smesso i panni del pasticcione affannato per reindossare quelli del professore. Peccato, ripeto, che tutto ciò sia accaduto quando ormai era troppo tardi sia per sognare in grande sia per recuperare fino in fondo la serenità nei rapporti fra squadra, società e allenatore.

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