Ecco lo spirito che vorremmo sempre vedere
C'èda esultare, perché finalmente abbiamo rivisto il vero volto del gioco di cui siamo innamorati. E noi laziali, una volta tanto, possiamo esultare doppio, perché nell'occasione alle gioie della mente fanno eco quelle del cuore e non ci ritroviamo, come tanto spesso ci succede, a domandarci a causa di quale maledizione alla beneamata finisca sempre per mancare un soldo per fare una lira. Il primo tempo, in realtà, aveva risvegliato i soliti incubi. Formazione giusta, giocatori che ci danno dentro, schemi che assicurano equilibrio e un grande pubblico a sostenere la squadra come ai tempi del decennio d'oro. Eppure, al dunque, ecco che il rinviuccio balordo sui piedi del miglior tiratore avversario e qualche paratona avevano reso tutto inutile e stucchevole, apparentemente ricacciando la Lazio nel limbo del «vorrei ma non posso» e restituendole la dimensione di squadretta carina ma troppo delicata per essere presa sul serio. Poi però è venuto quel fantastico secondo tempo, che ci ha fatto stropicciare gli occhi e che adesso alimenta insieme illusioni e rimpianti, facendoci sognare un finale di stagione simile all'inidimenticabile inizio ma anche mandandoci in bestia al pensiero di quel che sarebbe potuto essere senza il black-out invernale causato dagli errori di Delio Rossi e dalle convulsioni da essi indotti nello spogliatoio. Fra campionato e Coppa siamo alla terza vittoria in fila costruita sul 4-4-2, ma sebbene contro la Juventus sia arrivato persino uno dei rarissimi successi colti da Rossi ai danni di una «grande» (Roma a parte, ovviamente: ma la Roma è «grande» solo quando non c'è niente in palio...) è comunque presto per dire se la Lazio ha davvero ripreso coscienza di se stessa ed è pronta a trasformarsi da squadra double face a squadra con una faccia sola, la faccia che ieri sera ha terrorizzato la seconda forza del nostro campionato. Incrociamo le dita.