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Mario Balotelli ha compiuto domenica sera a San Siro una triplice prodezza.

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Tuttaviaa queste prestazioni di carattere prettamente calcistico, il giovane talento ne ha aggiunte altre due piuttosto insolite perché è riuscito a farsi fischiare dai sostenitori della propria squadra, per l'atteggiamento strafottente tenuto nella prima parte dell'incontro e naturalmente dai tifosi della Roma, che già arrabbiati per proprio conto per il rigore inventato da Rizzoli, hanno inevitabilmente reagito alla provocazione loro indirizzata dal giovanotto. Non è elegante citarsi ma qualche settimana fa avevo dedicato a Balotelli uno «spigolo» che qui riproduco integralmente: «Quante probabilità ci sono che qualche allenatore (Mourinho, Casiraghi o chiunque altro) faccia capire a Mario Balotelli quali sono gli obblighi di un professionista? I Bookmakers hanno fissato una quota piuttosto alta, 4 contro uno. Chi scommette?». Jose Mourinho per dovere di ufficio ha provato a difenderlo tentando un dribbling non proprio elegante. Ha detto che tutto sommato lui apprezzava un ragazzino che si comportava allo stesso modo nei confronti di compagni ed avversari, sia che fossero dei campioni affermati che dei giocatori di secondo piano. Mourinho intendeva dire che Balotelli era arrogante, maleducato e scortese con tutti. Credo che sia doveroso concedere delle attenuanti al giocatore. La sua vita prima di essere baciata dalla fortuna e dal talento ha probabilmente dovuto attraversare delle fasi difficili ma il bonus di queste attenuanti generiche si sta esaurendo. Non sono del tutto sicuro che si è buttato nell'area della Roma per cercare il rigore. Alle volte nel calcio si può cadere senza ci sia fallo e senza che ci sia simulazione ma anche in quest'ultimo caso il ragazzo è in buona compagnia perché la simulazione è un'arte che viene probabilmente insegnata nelle scuole calcio e viene comunque utilizzata a tutti i livelli calcistici senza il minimo senso di vergogna. Fosse mio figlio saprei cosa fare. Non conosco quali siano i suoi rapporti con la famiglia che lo ha adottato e con il fratello che gli fa da procuratore, temo che Mourinho e meno ancora Moratti abbiano voglia di intervenire. Molti anni fa (1975) ho conosciuto a Dallas John McEnroe, che aveva 16 anni, e suo padre con il quale ho giocato un paio di doppi e bevuto qualche birra. Mi sono permesso di chiedergli se non fosse il caso di convincere il suo figliolo ad assumere comportamenti più tranquilli. «Qualche volta ne avrei voglia - mi ha risposto - ma ho paura di rovinare un talento che sta nascendo». McEnroe ce l'ha fatta ma il tennis è uno sport individuale, il calcio è uno sport di squadra dove è più conveniente andare d'accordo con tutti. Chissà se Mourinho e Moratti lo hanno capito.

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