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Fabrizio Fabbri Un grande avvenire ...

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Ma anche un presente difficile, perché Danilo Gallinari, golden boy del basket tricolore e sesta scelta dell'ultimo draft, per ora dei Knicks, è stato quasi sempre solo un semplice tifoso. Colpa di una botta alla schiena rimediata nella Summer League della scorsa estate. «Un colpo duro, ma non cattivo, come capita nella Nba. Ma la schiena mi ha fatto subito male e da allora a oggi le cose non sono andate bene». Nell'estate dei grandi rifiuti all'azzurro lei, con la schiena a pezzi, ha provato comunque a rispondere presente alla chiamata di Recalcati. È stata la scelta giusta? «Chi mi conosce sa cosa penso della Nazionale. È in cima alle mie priorità e ritengo un onore vestire l'azzurro. A posteriori posso anche pensare che se avessi detto di no, visto il problema alla schiena, le cose nella stagione sarebbero andate diversamente. Ma rifarei quella scelta». Così però, saltando gran parte delle partite, ha fatto arrabbiare ancora di più i tifosi di New York che il giorno del draft, alla chiamata del suo nome, l'hanno sonoramente fischiata. «Ma no. Anzi dai fans ricevo ogni giorno attestati di stima. Quello che è successo la sera del draft l'ho accolto con un sorriso. I newyorkesi sono fatti così. Chiunque è scelto dai Knicks è sempre accolto da una valanga di fischi, quasi una tradizione. A me hanno dato più forza e il giorno dell'esordio mi hanno sostenuto alla grande». In prima fila al Madison c'è sempre un tifoso speciale, un po' critico con tutti. «Sì, è Spike Lee. Ci siamo conosciuti. «Come stai? Ti piace la città? Mi raccomando dai tutto per la maglia». Questi i suoi consigli. Magari con il tempo approfondirò un po' meglio la conoscenza». Come sta vivendo questa stagione da spettatore? Quanto pesa non poter aiutare i compagni? «Giocare non è solo il mio lavoro, ma una cosa che adoro. È frustrante non poter essere utile alla causa ma questa situazione mi sta facendo maturare. Nella carriera ci sono vittorie, sconfitte e purtroppo anche infortuni. L'ho presa come una tappa del mio processo di crescita. Ora sto facendo di tutto per guarire e tornare in campo più forte di prima». Come è la sua giornata tipo negli Usa? «Nulla di particolare. Alla mattina sveglia e colazione, poi allenamento alle 11. Nel pomeriggio un giro in città e qualche telefonata in Italia. Per fortuna poi c'è il pc. Così posso essere sempre in contatto con amici e famiglia». La «Grande Mela» è come l'aveva immaginata? «Si, è quella che avevo visto nei film e avevo nella testa. Caotica, rumorosa, eccezionale. Si vive 24 ore su 24». Nei Knicks l'ha voluta un grande amico di suo padre Vittorio (sono stati compagni di squadra nel Billy Milano di Dan Peterson), Mike D'Antoni. Si sente un raccomandato? «Mike non avrebbe mai fatto una scelta per amicizia. È un grande tecnico, uno dei più quotati negli Usa. Se ha deciso di puntare su di me è perché pensa che possa essere utile a New York». Che ha già preso, dopo pochi mesi, una bella impronta dantoniana. La gente al Madison è tornata a divertirsi. «Il basket di D'Antoni è bello da vedersi e da giocare. Phoenix, dove ha allenato prima di New York, era una della squadre più spettacolari degli ultimi anni. E sta accadendo la stessa cosa con i Knicks. Si corre molto, tutti sono responsabilizzati e possono prendere molti tiri. Ma non esistono egoismi. La regola base è che appena si ha la palla bisogna correre, cercando di tenere il ritmo alto e mettendo intensità in difesa». Quali differenze tra Nba e basket europeo? «A livello tecnico non ne ho trovata molta. Bisogna capire qualche regola diversa ma non è difficile. Quello che ti sorprende è l'organizzazione. Sono i numeri uno, sembra quasi che ti leggano nel pensiero e anticipino ogni tuo possibile problema, prevenendolo». In questa prima parte di esperienza negli Usa è riuscito a farsi un'idea su chi sono i migliori? «Lebron James, Chris Paul, Dwayne Wade, Chris Bosh e Josh Howard». Sorpreso dall'esplosione di Belinelli? «No, Marco ha i mezzi per fare bene. È forte e lo è sempre stato. Doveva uscire fuori ed è accaduto». Continua a seguire il campionato italiano? «Certo. Siena rimane la favorita. È solida e ha la possibilità di portare in alto il basket italiano anche in Europa». Roma si è separata da Repesa. Tra i possibili successori c'è Djordjevic. Ce lo può descrivere? «È l'allenatore che non ha avuto paura a scommettere su di me e lanciarmi. È una bella persona, è stato un campione con la C maiuscola ed è un grande coach. Gli sarò sempre grato. Se Roma lo scegliesse non sarebbe certo un salto nel buio».

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