Spalletti e le domande fuori luogo
E da uno Spalletti che fa fatica a non esplodere in «vaffan» quando il risultato non l'ha premiato. Gli altri, i paria, arrivano dopo i fuochi, spesso congedati con una battuta piena di sufficienza. Torno a Spalletti. Forse paga il conto di domande fastidiose quand'è in sofferenza per aver troppo sorriso dopo le vittorie. È il suo carattere, credo, anche se ho detto più volte che da uno nato a Certaldo Boccaccio m'aspetterei anche qualche risposta bruciante e pesante (vogliamo dire frizzante?) nel qual caso mi piacerebbe difenderlo dagli stilisti che confondono il fair play con l'arrendevolezza. Una buona educazione non esclude la franchezza. Come diceva mio nonno, il calcio non è gioco da signorine. Detto questo, mi sembra ridicolo, dopo un filotto di otto successi, aprire un processo alla Roma e al suo tecnico per la sconfitta di Catania che tale non sarebbe stata se i giallorossi avessero creduto fino in fondo alla naturale superiorità tecnica sconvolta dall'aggressività degli «zengati». Zenga sta facendo un gran lavoro psicologico sui suoi: giocando più sull'aggressività furbesca che sugli schemi tradizionali sta rinforzando la fama d'inviolabilità dell'ex «Cibali». La Roma, peraltro, aveva un pesante conto aperto con il Catania dai tempi non lontani del vistoso (eccessivo) sette-a-zero e anche certi discorsi catanesi della vigilia avevano creato un clima minaccioso. Diciamo che ci sono cascati come polli, i giallorossi, e nulla più. Al riprendere dei giochi sapranno ricominciare la rincorsa ai vertici della classifica. Senza troppo spendere - in pensieri apprensivi - per l'Arsenal che verrà. Ha detto bene, Spalletti, quando alla vigilia ha precisato «il nostro Arsenal oggi è il Catania». Peccato che non abbia preteso dalla Roma di essere la vera Roma.