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Il calcio vende l'anima al merchandising

Falcao

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Ricordo come circa 30 anni fa fosse considerata una profanazione l'iniziativa dell'Udinese che per prima mise sulle proprie maglie la pubblicità di un gelato. Prima di accettarle, si è litigato per anni sulle dimensioni che quelle scritte potevano avere. La maglia è sempre stata considerata il simbolo dell'identità di un club. Per la loro originalità e diversità sono rimaste storiche due maglie, quella nera del Casale e quella a strisce orizzontali bianche e blu della Pro Patria, ma il Casale manca dalla serie A dal 1934, la Pro Patria dal 1956. Le prime variazioni sono state rese obbligatorie dalla necessità di differenziare le maglie delle squadre che hanno gli stessi colori. Nell'attuale serie A ci sono tre squadre (Juventus, Siena e Udinese) che hanno le stessa maglia. Lo stesso può valere per la Lazio ed il Napoli, per l'Inter e l'Atalanta, per il Genoa ed il Cagliari, per il Catania ed il Bologna, per la Roma ed il Torino. Queste omonimie cromatiche hanno reso obbligatoria ed istituzionale la seconda maglia che una volta doveva essere indossata dalla squadra di casa (supponendo che fosse più facile averne a disposizione un'altra) mentre invece ora questo obbligo spetta alla squadra in trasferta. L'esigenza della seconda maglia è stata immediatamente sfruttata sul piano commerciale consentendo ad un club di sottoscrivere un doppio e magari anche un triplo contratto con le ditte fornitrici. Infatti l'ultima trovata è stata quella di creare una maglia diversa per le partite di coppa, Italia, Champions o Uefa, una specie di moltiplicazione dei marchi, dei contratti e delle entrate. In tutto questo si è venuto a creare un senso di confusione che probabilmente non è gradito al pubblico degli appassionati ed in particolare a quello dei tifosi che inevitabilmente sono i più affezionati ai colori originali. In tutte queste trasformazioni ci hanno messo qualcosa anche le aziende produttrici, costantemente alla ricerca di formule che, giocando sui colori ma anche sui fregi, rendessero più riconoscibile il loro logo. Naturalmente la televisione, che si è sempre più impadronita del prodotto calcio, ha imposto ma anche proposto soluzioni miste che hanno reso sempre meno identificabile l'identità di un club. Un primo passaggio è stato quello dell'abbandono della numerazione tradizionale. Per molti anni il numero 2 era il terzino destro, il numero 11 era l'ala sinistra. Il primo problema è nato con l'introduzione del libero che generalmente era il 4 oppure il 6, raramente il 5. L'idea, rubata allo sport americano, di identificare i giocatori con il loro nome ha completato una trasformazione che ha complicato il lavoro degli statistici ma non solo. Una volta la formazione di una squadra era recitata come un'Ave Maria (Bacigalupo, Ballarin, Maroso ed ancora Sarti, Magnini, Cervato e così via) ora nemmeno il più appassionato dei tifosi è in grado di pronunciare con disinvoltura la formazione della propria squadra. I tempi, come le maglie, cambiano ma si vorrebbe che le origini e soprattutto i colori non venissero dimenticati e soprattutto venduti.

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