Qualcuno «spinge» per vendere il club?
Ma non ci voglio credere. Per carità, esimia Rossella Sensi, non mettere alla porta Spalletti, semmai caccia e fatti pagare i danni per ricamata incapacità da quel signore, che, tomo, tomo, cacchio cacchio, ha gestito la campagna acquisti all'insegna, magari inconsapevolmente, del tanto peggio, tanto meglio. Spalletti adesso ci serve più che mai, più di tutti, anche più di Totti, il quale, stante le sue condizioni, non mi pare possa risultare utile a nessuno. Certo, bisogna silenziare Spalletti, con risentita esortazione all'afonìa, evitandogli, così, conati semantici al di là di meningi di troppo esposte al sole. Bisogna dirottarlo, zitto e muto, sulll'allenamento intensivo di un team, che, fin qui, partita dopo partita, sembra sortire ogni volta dall'osteria dei magnaccioni, piuttosto che dalla palestra degli atleti. La serie B (e peggio ancora) è purtroppo all'orizzonte. Già gli amici ladispolani sfottono, sognando il derby Ladispoli-Roma, provocazione insoffribile e, tuttavia, temibile, visto che il Ladispoli stravince pure fuori casa, mentre i giallorossi non ce la fanno più neppure nei match scapoli-ammogliati. Povera Roma, di nuovo rometta. Dico cento volte sì a Spalletti, perché rammento con sofferenza la tragedia del 1950-1951. Avevo sette anni e allo stadio Torino, in seguito Flaminio, masticavo con mio padre football amaro, vedendo la Roma perdere e riperdere. Mio nonno, laziale, godeva e spietatamente ci incalzava. Io, bimbo, tutto cuore giallorosso infranto, intuivo l'errore fatale di cambiare di continuo i trainer: Adolfo Baloncieri cedette il posto a Pietro Serantoni e questi a Guido Masetti. In quel tourbillon di mister, i giocatori non capirono più niente e affondarono. Eppure, non erano tutti scarponi. In porta c'erano, nell'ordine, Luciano Tessari, Luigi Albani, Fosco Risorti. In difesa: il miracolato Amos Cardarelli, guarito da un male terribile grazie alla Madonna, portento descritto con tanto di ex voto; Alberto Eliani; Aldo Nardi, Knut Nordahl, Armando Tre Re. A centro campo: Sune Andersson; Gianfranco Dell'Innocenti; Tommaso Maestrelli; Luigi Ganassi; Jone Spartano; Arcadio Venturi. All'attacco: Giancarlo Bacci; Carlo Lucchesi; Renzo Merlin; Mario Tontodonati; Stig Sundquist, il capocannoniere con 9 goal; Adriano Zecca. Questa la Roma del 1950-1951, che finì in serie B, pur avendo poco da invidiare - penso al grande mediano Arcadio Venturi - al team di oggi e pur dopo una campagna acquisti sicuramente meno scriteriata di quella condotta quest'estate. La causa del disastro fu, allora, il licenziamento a catena degli allenatori. Il ricordo bruciante di codesto trauma infantile mi spinge, perciò, a ribadire che Spalletti, certo ridimensionato e con obbligo di rinunciare al bla-bla sintatticamente improbabile, va riconfermato. I cocci di Pradè e dei giornalisti sportivi, che annunciarono niente meno che la probabile vittoria romanista nella Coppa dei Campioni, spettano tutti a lui. A proposito, a parte Pradè (che andrebbe licenziato), chi caccerà i colleghi parolai, della serie aprir bocca e dar fiato? A Spalletti, dunque, l'imperativo categorico dell'impresa impossibile di salvare la squadra, deludendo chi già pregusta per il 2010 il derby Ladispoli-Roma. Deputato Pdl