Alessandro Austini a.austini@iltempo.it Ci risiamo. Il ...
La nuova «molla» scatta con un articolo apparso ieri su «La Repubblica» in cui si tratteggia lo scenario dei rapporti tra Unicredit e Italpetroli alla luce della crisi economica mondiale che ha colpito anche la banca (ieri il titolo ha perso ancora a piazza Affari: -3,57%). L'ultimo piano di rientro, firmato dalle parti lo scorso 18 luglio, prevede un primo step a dicembre: entro la fine dell'anno Unicredit dovrà rientrare di 130 milioni di euro sui 365 totali che i Sensi devono alle banche. Italpetroli era convinta di poter ottenere una proroga fino a marzo ma circa un mese e mezzo fa dai vertici di piazza Cordusio sarebbe arrivato un «no». E allora quali asset saranno venduti dalla holding per raggiungere quella cifra entro due mesi? Se la Roma non si tocca, come continuano a sostenere da Villa Pacelli, le soluzioni più «immediate» restano due: i terreni di Torrevecchia e i depositi petroliferi di Civitavecchia. Ma per cedere i primi, il cui valore è stato stimato in 99 milioni da una recente perizia, si deve concludere l'iter burocratico: non succederà prima di dicembre, troppo tardi quindi per imbastire una trattativa e indirizzare il ricavato verso Unicredit. Tra l'altro, il costruttore romano Caltagirone si era interessato a Torrevecchia ma ora non sarebbe disposto a investire una cifra così alta. Sui depositi il discorso è ancora più complesso. Dopo l'entrata in vigore delle nuove leggi ambientali, che non consentono più la costruzioni di impianti petroliferi sulla costa, il «gioiello» dei Sensi a Civitavecchia è diventato sempre più appetibile: il prezzo può salire rispetto ai circa 40-50 milioni attuali anche grazie al piano di valorizzazione in corso. Recentemente un gruppo arabo si è interessato all'acquisto dei depositi ma Italpetroli avrebbe rifiutato l'offerta. E qui sta la novita: secondo quanto risulta a «Il Tempo», nell'incontro con gli arabi Rosella Sensi avrebbe mostrato una garanzia bancaria per una nuova liquidità di 185 milioni di euro, giustificando così la sua tranquillità per il futuro. Della Roma e del suo impero. Una cifra del genere permetterebbe a Italpetroli di saldare la prima parte del debito con le banche ed evitare la cessione del club giallorosso. Quest'ultima sarebbe invece la soluzione più logica secondo Unicredit che mantiene ancora l'opzione sul 2% della holding e potrebbe esercitarla diventando maggiore azionista al 51% se entro dicembre non verrà rispettato il piano di rientro. La stessa banca, in quel caso, andrebbe a trattare direttamente con l'eventuale acquirente la vendita della Roma. Non più ai 283 milioni di euro che il fondo di Soros era pronto a versare lo scorso 18 aprile, bensì a una cifra inferiore. Di potenziali nuovi padroni del club si intravedono le ombre. Sarebbero tre gruppi, tutti americani, uno dei quali facente capo a quel Fisher che voleva già comprare la Roma un anno fa. Non esiste invece un interesse della Tamoil. Né per la società giallorossa, né per i depositi di Italpetroli. Di sicuro non è nei programmi di Villa Pacelli un aumento di capitale della società di calcio finalizzato all'ingresso di un nuovo socio. Lo ha smentito ieri in una nota Italpetroli, oltre a precisare di non aver «chiesto alcuna proroga dei termini del rimborso del debito concordati con Unicredit. Nessun pressing è stato esercitato da Unicredit per la cessione della partecipazione in A.S. Roma». Anche il gruppo guidato da Profumo assicura in un comunicato che «non c'è nessun pressing da parte di Uniredit sui Sensi e nessun irrigidimento di rapporti con la famiglia» e che «il piano di rientro del debito rimane saldamente nelle mani della famiglia Sensi». Un'ulteriore smentita arriva dall'imprenditore franco-libico Tarak Ben Ammar, tirato in ballo come possibile nuovo alleato dei Sensi: «Io investire nel calcio? Non esiste».