dall'inviato Alessandro Austini ...
E dopo appena quattro giornate è costretta a ridimensionare i suoi obiettivi di partenza. Se alla Roma falcidiata dagli infortuni e senza gioco viene tolto anche un gol regolare quando si trovava in dieci uomini, la frittata è fatta. La sconfitta è pesante e immeritata nelle sue dimensioni, ma fa scattare un campanello d'allarme inquietante. L'Inter non si vede neanche col binocolo. Qui, dove a dicembre del 2005 inventò la Roma senza attaccanti in una gara con la Samp, Spalletti ripropone il 4-1-4-1 con cui ha battuto la Reggina. Metà squadra titolare è rimasta a Trigoria: Totti, Baptista, Pizarro, Juan e Cassetti. Anche Mexes, ancora acciaccato, resta in panchina insieme ad Aquilani e Tonetto, venuto a Genova per fare numero in panchina. Dietro si rivede Cicinho, al centro tocca ancora a Loria - imbarazzante - e al capitano di giornata Panucci, De Rossi diga davanti alla difesa, gli incursori stavolta sono Brighi e un Perrotta scarico, con Taddei e Menez larghi e Vucinic centravanti. Gasperini recupera Gasbarroni che fa più il trequartista che l'esterno nel tridente con Sculli e Milito. Pronti, via e Vucinic spaventa Rubinho sull'invito dalla bandierina di De Rossi. È un'illusione. Palla dall'altra parte e il Genoa passa in vantaggio con Sculli che, su cross di Gasbarroni, di piatto anticipa Doni e il colpevole Riise: il norvegese si dimentica di fare la diagonale. La Roma prova a ricompattarsi e fare la partita, ma rischia ogni volta che il Genoa riparte. Il gioco non c'è, Brighi corre per due ma né lui né Perrotta sanno dare ordine al centrocampo. Spalletti scambia le fasce a Taddei e Menez che passa a destra. L'esperimento dura pochi minuti ma i giallorossi trovano comunque il pareggio: punizione di Cicinho in mezzo, De Rossi salta più in alto di tutti e arriva anche sulla respinta di Rubinho. Nel secondo tempo le cose non migliorano. È il Genoa a portarsi ancora in vantaggio, dopo un paio di azioni in contropiede sprecate dai giallorossi. Tutto nasce da un calcio d'angolo contestato dai giallorossi. Secondo l'arbitro Doni avrebbe rinviato il pallone, su retropassaggio di Loria, oltre la linea di fondo. Rinvio sbilenco e cross in mezzo toccato male ancora da Riise, così Juric serve un pallone sul piatto d'argento al «principe» Milito che riceve in posizione regolare e fa due a uno. De Rossi si infuria con Brighi (l'arbitro) che non sente ragione e convalida. Subito dopo è l'assistente Biasutto a trarlo in inganno: su assist di Menez, Panucci parte in posizione regolare di un metro ma la bandierina si alza. La Roma perde le staffe e De Rossi si fa cacciare per un fallo su Palladino che gli costa il secondo giallo dopo il primo per proteste. Arriva la reazione d'orgoglio dei giallorossi ma non basta. Così come non incidono gli ingressi in campo di Okaka, Aquilani e Montella. Menez reclama un rigore prima di uscire, poi è ancora Milito a dare la mazzata finale a una Roma che a giugno è stata campione d'Italia per un'ora. Sembra un secolo fa.