La nemesi romena comincia dal rifiuto di Mutu e finisce con Culio
{{IMG_SX}}Per attraversare incolumi questi tempi grami, munitevi di ovatta. Infilatevela nelle orecchie e simulate otiti perforanti; in alternativa applicatevela sulle palpebre e coprite con un cerotto. Chiamerete in causa orzaioli, cataratte, rare infezioni oculari. Fate voi: l'importante è non vedere e non sentire. L'immagine dei laziali giubilanti e sornioni è più insopportabile del sorriso di un postino mentre vi consegna beffardo una maxicartella esattoriale. Ma quella che divide i romanisti dai cugini biancocelesti è l'ordinaria oscillazione dei titoli della buona sorte, alla Borsa del Tifo. Oggi a me, domani a te. Chi ama il calcio mette in conto tic e gastriti, notti da Innominato e melanconie leopardiane. Però il punto non è la distanza in classifica da Zarate, che ha un nome da coupé degli anni Settanta ma ti fulmina come il bosone dentro al tunnel del Big Bang. Il problema è altrove: nella nemesi della Magica che si incaglia proprio sui romeni, da quelli anagraficamente accertati - i campioni come Mutu e le pippe glorificate del Cluj - a quelli acquisiti, come Trombetta e Culio, che messi insieme creano una greve assonanza, quella del verso dantesco sulla flatulenza, sigillo sonoro perfetto per questo momentaccio infernale della Roma. Ancora, il problema è nella faccia di Spalletti, che ormai, di partita in partita, acquista nuovi solchi di preoccupazione sulla pelata, una via di mezzo fra la sezione di sequoia e il vizzo Gollum del "Signore degli anelli". Sta lì sulla panca con lo sguardo vitreo, e ripensa a quella stramaledetta cena con Abramovich. Ora tutti, da De Rossi a Cicinho ai pulcini di Trigoria lo chiamano «l'allenatore del Chelsea», e Luciano si chiede in che modo si riprenderà la fiducia dei suoi, come un marito fedifrago quando la moglie gli sbatte in faccia la foto dell'autovelox con lui che bacia l'amante sulla corsia di sorpasso. Il problema è nella campagna acquisti. Dicono che la Roma fingesse di voler comprare Baptista mirando in realtà a Robinho. Poi gli arabi hanno aperto il forziere e l'hanno convinto subito a trasferirsi a Manchester, mentre qui eccoti la Bestia e Menez, che con Loria fanno un tris di rinforzi buoni per la squadra dei commercialisti del giovedì sera, prima della pizza e della media chiara alla spina. Il problema è nel logorio di un Campione costretto a tirare la stampella in campo come l'eroe di guerra suo quasi omonimo, e nella transizione lenta di una società che presto o tardi finirà in altre mani: verso il prossimo Sensi o Viola e non un altro Tacopina, spera il romanista, entrando in farmacia.