Tutto finito, Pechino dsi richiude in se stessa

E' finita. Voi laggiù pensate al ritorno dalle vacanze, la scuola dei figli all'orizzonte, l'ufficio, la casa, il traffico che ricomincia. Qui invece di ricominciare, si smonta tutto. In tempo reale. Sono cinesi, del resto. Domenica 24 agosto, fine dei Giochi. La fiaccola s'è spenta quando in Italia era ancora l'ora dell'ultimo bagno prima del controesodo. Cala il sipario su queste Olimpiadi frenetiche, molto cinesi, in fatto di medaglie d'oro e abitudini di vita. Tornano a casa i 500.000 volontari, poco inclini a parlare l'inglese e capire le reali esigenze di pubblico e addetti ai lavori. Vengono smontati a tempo da record, manco fossero i 100 metri di Bolt, stand e capannoni, insegne e simboli di questa ventinovesima Olimpiade. Manca poco che ci tolgano la sedia da sotto al sedere. Lenti quando dovrebbero correre, i cinesi sono imprevedibili e si mettono a correre quando tutto è finito. Dicono sia lo Yin e lo Yang, le forze del bene e quelle del male, gli equilibri, il Feng shui. Vabbè, massimo rispetto, ma a volte si fa comunque fatica a capire certi meccanismi di un popolo vastissimo, pervaso da un fremito di trasformazione che noi non possiamo nemmeno immaginare. Chiude il Villaggio Olimpico, chiude il Centro Stampa, e chiudono anche - ma per lutto - i negozi del Silk Market, il posto dove tutto costa meno che a forza di vendere a tutti di tutto ha fatto la fortuna dei negozianti di lì. Da domani pochi turisti, altro che questo sciamare di migliaia di assatanati dello shopping a buon mercato. Chiude la corsa al gadget, alla maglietta dei Giochi, alle spillette e ai souvenirs, quelli da comprare a tutti i costi perché «a casa me ne hanno chiesti un bel po'», e invece piacciono e te e li terrai in bella vista in salone, facendo poi inorridire chi li vedrà in esposizione nella tua casa. Si chiude. E con questa chiusura va via anche il senso di smarrimento che ti assaliva lungo gli enormi stradoni nei quali ti chiedevi: ma dove sono, e soprattutto, come ci torno in albergo? Si chiude il computer, fedele amico di questo viaggio un po' folle: l'hai usato un po' ovunque, per colpa del fuso orario. Negli stadi, al ristorante, in mezzo alla strada, dentro al taxi. Fa tanto inviato speciale, anche se di speciale c'è solo l'Olimpiade, magnifica essenza di 15 giorni vissuti ad una velocità pazzesca, dentro a storie, risultati, colpi di scena, retroscena e tanta gente che non fa mai scena. Gli atleti veri, quelli della fatica, dei sacrifici, della passione. Raccontare le loro storie, la medaglia più bella. Capire che, in mezzo a soldi, sponsors, politica, Dalai Lama, diritti civili, libertà, repressione, povertà e sprechi, c'è sempre vivo qualcosa che unisce e non separa. Anche chi, come atleti russi e georgiani, si ritrovano un mattino separati da una guerra. Sarà poco, ma colpisce. Emoziona. Viva la faccia, ti fa sentire bene, quasi quasi migliore. Facce, amori, sudori, profumi, stanchezze, sbadigli, corse, angosce, gioie: mischiatelo e moltiplicatelo e comunque, di sicuro, non avrete mai il risultato vero di una Olimpiade vista di faccia di profilo, ingoiata e mai perfettamente digerita. Qualcosa che sfugge alla logica, che resiste alle mode, che viene solo ogni quattro anni e se va via in un lampo. Che da ieri ha chiuso. Già si chiude. Meno questa benedetta valigia, piena zeppa di ogni cosa, regali, gingilli, vestiti, ma soprattutto la fortuna di esserci stati. E chiude anche «l'Altra Olimpiade», quella delle storielle e delle scemenze, dei racconti nei buchi temporali tra una medaglia e l'altra e delle facezie, della presunzione di raccontarvi qualcosa visto anche solo di sfuggita, che però rimane impresso. Chiude. Perché da stasera, per noi che stavamo qua, la Cina non sarà più così vicina.