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Moggi: «Eravamo avversari non nemici»

Moggi

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Oggi sarà alla camera ardente e domani ai funerali del patron giallorosso. «Ma non cerco visibilità o foto facili. Davanti a questo lutto serve il massimo rispetto. La sua famiglia perde un grande uomo, e la Roma un presidente munifico, un tifoso come non ne esistono quasi più, al vertice delle società». Eppure, Moggi, è dal '93 che con Sensi non è certo un flirt. Da quando lui rilevò la proprietà della Roma e non la trattenne come dirigente... «Non fui cacciato. Me ne andai io alla Juve, che certo non era un club di secondo piano. Sensi mi aveva trovato nell'organigramma giallorosso con Mezzaroma, ed era logico volesse scegliersi uomini di sua fiducia. Ci furono diatribe che, con il senno di poi, non avevano ragione di esistere». Cosa le disse Sensi? «Mi guardò e mi sorrise: "Vedi Moggi, ho smesso di lavorare e ora la Roma è il mio giocattolo". E io: "Caro presidente, può rivelarsi un giocattolo pericoloso"». E fu così? «Aveva una forza d'animo straordinaria. Sapeva che io, da manager bianconero non gli facevo la guerra: avevo il dovere di garantire il meglio per proteggere e rafforzare il mio team». Ma cominciò a soffiargli i giocatori sul mercato. Ferrara, Paulo Sousa... «Se erano buoni acquisti per la Roma lo erano anche per la Juve, no? Mica erano dispetti, solo affari». Neanche Capello? «Non lo rapii di notte per portarlo a Torino. Doveva andar via da Roma per ragioni particolari». Quali? «Voi giornalisti sperate che sia io a dirle, ma le sapete bene. E poi stava per andare all'Inter». Qualche volta Sensi ci vide lontano, a non fare scambi con lei. «Quando proposi Davids in cambio di soldi, più De Rossi e Aquilani, che erano ragazzini sconosciuti. Sensi li trattenne». Aveva fiutato la fregatura. «Era un antagonista di primissimo piano. Che ho sempre rispettato. E frequentato, senza invasioni di campo reciproche. Sono stato a trovarlo a Visso, anche negli ultimi tempi». Negli anni ruggenti utilizzavate un canale «discreto» per comunicare? «Ci si vedeva, ci si parlava. La nostra non è mai stata un'inimicizia. C'era chi aveva interesse ad alimentare queste falsità. Qualcuno che, nella Roma, non riusciva a ottenere risultati concreti nel proprio ruolo, e trovava più semplice parlare male di me». Baldini? «Anche». Lei vide in azione il Sensi delle battaglie al Palazzo. Quello che aveva fatto lobby con Cecchi Gori, Cragnotti e Tanzi contro lo strapotere del nord. «Fu un'opposizione importante all'asse Milano-Torino, ma a un certo punto Sensi capì di non volersi accollare troppi disagi per conto di altri. La sua priorità era di far rispettare la Roma, di costruire un progetto di lungo periodo, grazie a una nidiata di giovani formidabili». E ora? «Rosella, Spalletti e Pradè dovranno investire sulle idee, più che sui soldi. Il materiale non manca. E la Roma, dopo i torti subiti nell'ultimo campionato, è diventata simpatica. Anche se è meglio diventare antipatici per le vittorie. Purchè siano pulite. Come quelle della mia Juve.

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