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Cragnotti: «Sensi, un avversario leale»

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La scomparsa del presidente della Roma Franco Sensi addolora l'amico rivale Sergio Cragnotti che ricorda l'antagonista con grandi parole: « Il calcio italiano perde una figura di grandissimo spessore, un uomo che ha dedicato amore, tempo, energie e investimenti per la Roma». Che personaggio era Franco Sensi? «É stato un uomo che ha combattuto fino in fondo le sue battaglie, riabilitando il calcio romano. Ha saputo gestire il suo club portandolo ai vertici del calcio italiano. Sensi era un uomo dal carattere forte, duro, da imprenditore sapeva distinguere le cose buone da quelle meno vantaggiose. Quando decise di entrare nel calcio trovò un mondo differente rispetto a quello che avrebbe voluto trovare: per questo ha cercato di portare avanti le sue battaglie con determinazione». Il primo ricordo che le viene in mente? «Certamente le battaglie che abbiamo sostenuto insieme per cercare di portare ai vertici del calcio italiano le nostre due società. Per evitare il monopolio di Telepiù creammo la Sds, una società di diritti sportivi che grazie a Stream indirizzò verso un mercato concorrenziale la cessione dei diritti televisivi. Era l'unica soluzione che in quel momento potevamo trovare allo strapotere dei club del Nord e alla ripartizione iniqua dei proventi tv». Avete tracciato la strada maestra, portando Roma ai vertici del calcio. «Il progetto vincente delle due società è nato contemporaneamente: i successi della mia Lazio furono uno stimolo ulteriore per l'amico Franco. Insieme abbiamo vissuto e fatto vivere ai nostri tifosi stagioni esaltanti, indimenticabili». Esiste un progetto comune che Roma e Lazio non sono state in grado di portare a termine? «Sensi era un personaggio all'antica, ma sapeva riconoscere i progetti vincenti, apprezzava le idee innovative, capiva i momenti. Già dieci anni fa decidemmo insieme di portare avanti il progetto stadio, ma ci siamo trovati a lottare contro un muro di gomma. Davanti a noi trovammo una barriera fatta di invidia e pregiudizi. Uno stadio di proprietà avrebbe rappresentato l'affermazione del calcio romano sulle società dal nord, sarebbe stata la definitiva consacrazione dei due club della capitale». Mai avuto screzi? «No. Il nostro era un confronto onesto, leale. Ognuno manteneva la propria autonomia, eravamo due società che amavano rivaleggiare. Mercato? Seguivamo giocatori differenti cercando campioni per arricchire le nostre squadre. Ognuno rispettava l'altro, cercando sportivamente di superarlo». Dopo l'ingresso in Borsa della Lazio decise di seguire il suo esempio. «Aveva apprezzato il progetto, aveva capito che in quel momento era necessario trovare nuove sinergie per compiere un ulteriore salto di qualità colmando il gap che ci separava da Milan, Juve e Inter. E anche lì ebbe ragione, perchè l'anno successivo alla quotazione arrivò lo scudetto».

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