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PECHINO A Pechino c'è un posto che sembra un aeroporto o ...

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C'è anche la seta, ma tanta altra roba. Ed è l'altra roba che intriga, attira, stuzzica la fantasia di tutti i non cinesi a Pechino per questi Giochi. Stand tipo Porta Portese: stanzette come alveari in cui si vende di tutto. Dal tè verde alle scarpe da ginnastica alla moda (fasulle), dai jeans alle magliette di marca che di marca non sono. E ancora: vestiti, cachemire, occhiali da vista e da sole, giocattoli per tutti i gusti, e infine, ovviamente, le cineserie: dado di vetro con l'ologramma del tuo nome, il foglio con la scritta in ideogramma, le bacchette di legno, d'avorio, d'onice, teiere, orologi. Il vero e il finto si mischiano incredibilmente in questo bazar dove vagano senza meta, trascinati dentro i box dai venditori, tutti i membri accreditati a questi Giochi. C'è il lottatore armeno eliminato che porta ancora addosso i graffi della lotta libera, ci sono le ragazze canadesi non si capisce bene di qualche sport, con loro, i campioni del badminton (il volano) dell'Indonesia: li riconosci perché il loro accredito ha il verde degli atleti. Poi i dirigenti e una fiumara di giornalisti. I cinesi, di fronte a questa orda di compratori, non stanno zitti un attimo. Mister, lady, mister, lady, come here, good price, buon prezzo. I più esperti tra gli occidentali ricacciano indietro l'assalto continuo pronunciando il fatidico: pu yao, non mi interessa. Che per un cinese è come una doccia gelata. Gli altri si lasciano conquistare. E portano via di tutto. La teiera e le scarpe tarocche, la camicia che una volta a casa non metteranno mai, i nodi portafortuna - laccetti di stoffa rossi che, dicono, allontanino la jella - il giocattolo speciale, un elicottero che vola davvero ed è grande così. E li vedi, che con tutte quelle borse di plastica nere in mano - quelle dell'immondizia, per intenderci - scoprire un improvviso senso di preoccupazione: e adesso come faccio? I cinesi, si sa, attendono lungo il fiume il cadavere del nemico. E loro sono lì, in attesa: vedono le sacche nere stracolme e ti catturano, portandoti dal venditore di valigie. Un gioco da ragazzi. Ecco la grande marca copiata nei minimi dettagli: costa 5 euro. Il ciclista americano e la lottatrice turca esultano: i loro allenatori, fatto di conto, comprano, comprano senza esitazione. E allora, al pian terreno, comincia la fiumara di persone che escono con le valigie gonfie di regali. Di tutti i colori. Grigie, nere, rosse, blu. Se ti fermi un attimo lì, non credi ai tuoi occhi: la storia va avanti dalle 9 del mattino alle 10 di sera. Si compra e si vende. Ma, dicono gli esperti - soprattutto gli occidentali che vivono qui - mai fidarsi del trolley Made in China: al primo viaggio serio con l'aereo, la maniglia ti rimane in mano o la borsa rigida si apre all'improvviso. Chissà che fine faranno tutte le cianfrusaglie acquistate quaggiù? Magari sparse sulle piste degli aeroporti di mezzo mondo. Eppure chi se la sente di avvisare questa fiumara: la felicità di aver fatto un affare, vale quasi come la medaglia che - nella stragrande maggioranza dei casi - è stata solo una chimera.

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