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PECHINO Ferragosto a Pechino. Pensi a casa, alle strade di ...

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Targhe alterne, cielo sereno - attenzione, è tornato il sole, cosa bellissima dopo 10 giorni di grigio - la vita di tutti i giorni a queste Olimpiadi. Ma per te che stai qui è sempre ferragosto. C'è la netta divisione: chi lavora e chi no. I giornali non escono, e allora - proprio a metà delle Olimpiadi - un giorno di stop è perfetto. Ecco il Palazzo d'estate, dove l'Imperatore cercava refrigerio nelle micidiali estati pechinesi (qui ha sempre fatto caldo). Bello, ma sai: noi siamo italiani, ce ne vuole per emozionarci con la storia archeologica che ci circonda. Una pagoda, un cortile, una pagoda un cortile. Poi però il laghetto è bello, esaltato dal profilo delle colline e delle montagne che circondano Pechino. E chi l'aveva mai viste in questi giorni: la visibilità era ridotta ai 500 metri. Dopo, 30 chilometri di taxi, ed ecco la Città Proibita. L'immagine del film di Bertolucci l'Ultimo Imperatore ti perseguita: bella questa fetta di storia in una città fracassata dalla mania del futuro. Cortile, pagoda, cortile, pagoda: qualcuno, col solito cinismo che accompagna i mestieranti giramondo della stampa, azzarda: «La città proibita? È un posto che cammini per venti minuti, poi ti stanchi e te ne vai». Risate. Ironia forte, per reggere il ritmo di una mesata di lavoro pesante. Già il lavoro. C'è anche un altro ferragosto a Pechino. Quello di chi, come gli impiegati di Casa Italia, i giornalisti e tecnici della televisione e della radio e i cronisti delle agenzie, che sono come i cinesi: il 15 agosto è solo venerdi. E allora, corri che c'è l'Italia del pallone che si allena. Si ma dove? All'università della sport e della tecnica. No, a quella della cultura. E l'indirizzo? Bei san huai numero 11. A, bene: e chi glielo dice al tassista? L'interprete, per chi ce l'ha. Oppure, il solito giro di telefonate che ti salva la vita. Qual è ? Semplice: col cellulare chiami l'albergo, dove un'anima pia c'è sempre che parla inglese; secondo passo: gli spieghi dove devi andare; terza fase, delicatissima: passaggio del cellulare allo sconosciuto tassista. Scambio di suoni gutturali e l'attesissimo si con la testa. Avrà capito? Arrivi, il pullman della squadra è appena arrivato. Poi scopri che la squadra di Casiraghi non si può subito allenare. È senza pantaloncini: i magazzinieri con la borsa si sono persi qui a Pechino. Ma allora non succede solo a noi? Ferragosto in Cina. Bello, per carità, ma l'idea di strade vuote e un di «cocomeraro» che ti offre una fetta fresca nella calura capitolina si fa strada, mentre a casa s'è fatto giorno e tu telefoni per dire che va tutto bene. In fondo, per fortuna, i problemi veri sono altri.

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