La giusta rivoluzione di Lotito

Qualcosa è cambiato, e dopo essermi stropicciato gli occhi per l'incredulità, adesso oso sperare di poter anche cominciare (anzi: ricominciare) a leccarmi i baffi. Perché non può essere un caso se la Lazio è tornata a riscuotere l'attenzione dei media anche in assenza di pirotecniche esibizioni del presidente Lotito: a questo mondo nessuno ti regala niente, neppure il lazialissimo direttore del TG5. Se destiamo interesse e curiosità quasi come ai vecchi tempi è perché Lotito ha costruito una bella squadra e la gente se n'è accorta. Abbiamo finalmente un portiere; abbiamo una discreta difesa (migliorabile, ma discreta); abbiamo un centrocampo di grande qualità; e abbiamo un attacco che, se Zarate vale soltanto la metà di quel che lascia intravedere, può fare i bozzi a tutti. Ancor più incoraggiante dell'esame di ciò che abbiamo è, secondo me, l'esame di ciò che non abbiamo più. Lotito, uomo intelligente e non carente di pelo sullo stomaco, ha capito che in questo calcio di mercenari furbacchioni c'è un solo modo per sottrarsi alle congiure ed ai ricatti: giocare duro, entrare a gamba tesa e fare piazza pulita. Il vertiginoso turnover col quale ha rimodellato la riottosa truppa che stava per portare la Lazio in Serie B non ha, dunque, avuto il solo effetto di elevare il tasso tecnico della squadra: è anche servito a iniettarle nelle vene una massiccia dose di fresche motivazioni e a rivolgere un inequivocabile monito a chi è rimasto. Che qualcosa sia cambiato, e cambiato per davvero, lo avvertono d'altronde tutti i laziali «normali», quelli che non hanno fatto dell'avversione a Lotito una ragione di vita. Ecco perché anche la campagna abbonamenti sta riscuotendo successo. Certo, la fame talvolta fa venire le traveggole. Però, come diceva lo slogan del primo Cragnotti, io ci credo.