L'Europa torna a parlare spagnolo
La generazione dei Sergio Ramos, Torres, Villa, Silva, Xavi, Iniesta, Xabi Alonso e Casillas ha finalmente messo una pietra sopra sulla tradizione che voleva gli spagnoli sempre belli e favoriti, ma perdenti. Era così dal 1964, anno della loro unica vittoria in una competizione importante, un altro Europeo. Il gruppo di Aragones era fatto apposta per rompere il tabù, tanto che è arrivato al titolo continentale al termine di un serie positiva lunghissima: ventidue partite utili, di cui diciannove vinte e tre pareggiate, tra le quali quella contro l'Italia, poi battuta ai rigori. Quella sera la Spagna ha capito che gli astri erano con lei e che stavolta il titolo non le sarebbe sfuggito. La Germania ha cercato di contrastarla con i mezzi che aveva: il fisico, il carattere, la corsa. Non sono bastati. Troppa era la voglia della Spagna di rompere la maledizione del perdente. Una vittoria nella quale sono grandissimi i meriti del ct Aragones, ieri all'ultima gara sulla panchina della nazionale, che in questo Europeo ha guidato con maestria e saggezza, amminsitrandone le forze e gli uomini con cambi che, altrove, sarebbero stati considerati impopolari. Se Torres non gira dentro Guiza, se Fabregas non ce la fa più tocca a Cazorla. Una lezione della quale bisogna tenere conto. L'inizio è della Germania, che sorprende gli spagnoli attaccandoli e pressandoli in ogni zona del campo, tanto che al terzo Sergio Ramos perde palla sull'assalto di Klose al limite dell'area e ringrazia i suoi santi protettori quando quello se la allunga al momento dell'ultimo dribbling su Puyol. Il pericolo non scuote gli spagnoli, che nei primi venti minuti sono preda dell'emozione mostrata dai loro visi al momento degli inni nazionali. Nonostante ciò, però, rischiano lo stesso di passare in vantaggio al 15' per una deviazione di Metzelder che Lehmann devia alla grande in angolo evitando l'autogol. È l'episodio che fa entrare in partita la Spagna, che da quel momento prende le misure alla Germania e comincia a farla girare a vuoto soprattutto a centrocampo, dove la classe iberica ha il sopravvento sulla fisicità teutonica. Al 22' Torres fa le prove del gol: su un affondo di S.Ramos sale più in alto di Mertesacker e prende il palo. Si rifà al 33', quando viene lanciato alla grande da Fabregas e supera un inguardabile Lahm, che se lo fa sfuggire come un pivellino. A quel punto battere Lehmann è uno scherzo. La Spagna è in vantaggio e se lo merita. La Germania è sotto e ancora una volta per colpa di una difesa che in questi Europei ha mostrato troppe lacune, specie in Lahm, l'eroe della semifinale con la Turchia, nella quale, prima del gol del 3-2, aveva causato le due reti turche con le sue disattenzioni. Anche per Loew è troppo e all'inizio della ripresa lo sostituisce con Jansen. Tra il palo e il gol d Torres la Germania aveva reclamato per due presunti tocchi di mano in area: di Sergio Ramos su tiro di Ballack (ma la respinta era di corpo e non di braccio) e di Capdevila dopo uno stop sbagliato. Per Rosetti il tocco è involontario e si può essere d'accordo con lui, che arbitra bene la finale. Nella ripresa la Germania tira fuori tutto il carattere che la contraddistingue e al quarto d'ora sfiora il pari con Ballack. Ma la Spagna non molla e costringe Lehmann al super lavoro su Sergio Ramos e Iniesta. Loew manda in campo la seconda punta, Kuranyi, ma poco cambia. Sono sempre gli spagnoli a fare la partita e a sfiorare ancora il raddoppio col brasiliano naturalizzato Senna, il regista della squadra che da ieri è Campione d'Europa.