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Cari laziali andate a Timbuctù

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Meglio non sapere, non vedere. Se l'evento innominabile dovesse davvero verificarsi, infatti, credo che non potrei sopportare non dico la baldoria domenicale - la quale in fin dei conti ci starebbe pure - ma soprattutto la ripetizione della devastazione in chiave giallorossa della città che, sul modello di quanto accadde sette anni fa, le farebbe seguito. Già in circostanze normali i nostri amati-odiati cuginetti vivono la loro passione sportiva con un'intensità che sopprime qualsiasi freno inibitorio. Quindi, temo, un evento innominabile con le caratteristiche di quello che potrebbe sorprendentemente maturare domenica, renderebbe incontrollabile l'eruzione. Costretto purtroppo a restarmene qua, provo un senso di smarrimento non troppo diverso, credo, da quello che spingerebbe milioni di interisti come lemmings verso un suicidio di massa. Faccio e rifaccio i conti per cercare di capire quali combinazioni di risultati mi metterebbero al riparo dal pericolo e alla fine, per consolarmi e sopravvivere fino a domenica, ne scopro una che, almeno per me, rappresenterebbe l'ideale: sconfitta dell'Inter a Parma e pareggio della Roma a Catania. Con le rivali a pari punti, lo scudetto finirebbe a Milano per l'esito dei confronti diretti, e questo esalterebbe il gusto per l'unica cosa buona fatta dalla Lazio in questo campionato, la vittoria nel derby di ritorno. PS - Se poi «Il Tempo» mi consente di dar parola al cervello oltre che al cuore, affiancando il giudizio del vecchio giornalista a quello del tifoso laziale, aggiungo che lo scudetto alla Roma sarebbe un atto di giustizia poetica, una vittoria dello sport.

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