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Un divorzio che fa gioire

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i veri laziali

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Lui mi diede ragione due volte, perché mentre il Mancini allenatore guidava una squadra da scudetto a un penoso sesto posto (totalizzando 10 sconfitte), il Mancini general manager - era lui a comandare non solo negli spogliatoi ma anche negli uffici, forte delle sue amicizie altolocate - si rivelava molto più interessato alle proprie sorti che a quelle della S.S.Lazio spa. Andò a finire che, dopo aver pilotato il club sull'orlo della bancarotta, se ne scappò bel bello a Milano a raccogliere soldi e applausi grazie ai soliti amici, lasciando al povero Lotito lo scottante malloppo di 1.000 miliardi di vecchie lire di debiti da saldare. Il bluff è proseguito dal giorno della fuga fino a martedì sera. Pur facendo dell'Inter la Bengodi del calcio mondiale, circondandosi di amici e ottenendo da Moratti tutti i campioni che voleva, anche a Milano il prode Mancio è incappato in ricorrenti scivoloni e figuracce. In Champions League ha stabilito il record sociale di eliminazioni precoci (quattro consecutive) e persino i due scudetti che ha vinto sono venuti entrambi per via giudiziaria: il primo direttamente a tavolino, il secondo per eliminazione preventiva dei possibili avversari (Juve in B, Milan a -8). Quest'anno, poi, senza gli errori arbitrali in suo favore e a danno dei rivali sarebbe almeno sei punti dietro alla Roma. Insomma, la sconfitta col Liverpool - quando l'arbitro è straniero è difficile vincere in assenza di uno straccio di gioco - e il penoso show che le ha fatto seguito hanno, spero, chiarito a tutti quel che noi laziali avevamo già imparato a nostre spese. Il tempo è galantuomo.

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