Deus ex machina

Sondato in gran segreto nell'autunno del 1992 e messo sotto contratto pochi mesi dopo, il primo luglio 1993 Todt saltò in corsa dall'abitacolo della Peugeot 905 vincitrice nella 24 Ore di Le Mans a quello della traballante Ferrari F93A, impegnata a tenere a bada le sue bizzose sospensioni attive a poche centinaia di chilometri di distanza, nel GP di Francia a Magny Cours. Si presentò alla sanguinaria stampa tricolore rispondendo in italiano senza conoscere altro che qualche parola di spagnolo e tre giorni dopo, in seguito al doppio ritiro di Alesi e Berger nella corsa, diede agli uomini del Cavallino il suo primo ordine: niente rientro in Italia, si resta qui a sudare e a provare. Meno di 13 mesi più tardi, il 31 luglio 1994, la Ferrari interrompeva a Hockenheim, con la 412 T1 guidata da Berger, un digiuno durato quasi 4 anni, il più lungo della sua storia. Altri 5 anni, e arrivava il primo titolo mondiale dal 1983 in poi, quello Costruttori, preludio alla doppietta del 2000, quando Schumacher, a ben 21 anni di distanza da quello di Jody Scheckter, riportò a Maranello anche il Mondiale Piloti. Da allora, a quei tre titoli iridati se ne sono aggiunti la bellezza di altri 10. Mai, nella sua gloriosissima storia, la Ferrari aveva vissuto un periodo altrettanto trionfale, neppure ai tempi in cui il Fondatore veniva dipinto come dio padre onnipotente in persona. Con Todt alla guida, le rosse hanno colto quasi la metà dei gran premi vinti in 58 anni di F1: 98 su 201, un dato più eloquente di qualsiasi aggettivo. Eppure, la festa di compleanno di oggi, nella grande casa di Colombaro dirimpetto al Circolo del Golf di Modena, sarà diversa dalle 14 che l'hanno preceduta, perché nel 2008 Jean Todt, che nel frattempo della Ferrari è diventato amministratore delegato, non andrà più alle corse. Il suo ruolo alla guida della Scuderia lo ha preso un quarantaduenne di Imola, Stefano Domenicali e così, nelle poche occasioni in cui si presenterà su un circuito di F1, Todt si limiterà a mettersi le cuffie e ad ascoltare le voci del team al lavoro, senza potervi mescolare la propria. Quella che in una gerontocrazia come l'Italia potrebbe sembrare una sorta di giubilazione è, in realtà, la fisiologica conclusione di un ciclo. Nel suo lungo regno Todt aveva avuto due formidabili strumenti di potere: il direttore tecnico Ross Brawn e Michael Schumacher. Partiti a fine 2006 loro due - incappato in un misterioso pasticcio il primo e consunto dalle troppe vittorie il secondo - era solo questione di tempo perché anche Todt lasciasse le corse. Forse voleva farlo addirittura prima ma alla fine aveva accettato di restare ancora un anno al timone del reparto corse. Un «interim» non senza riflessi interni al team, come hanno testimoniato gli indicibili tentennamenti che, a dispetto della superiorità tecnica della F2007, senza la squalifica della McLaren per la spy-story e i clamorosi errori finali di Lewis Hamilton sarebbero costati alla Ferrari entrambi i titoli mondiali. Adesso c'è chi mormora che questo sarà l'ultimo compleanno italiano di Todt, cui non piacerebbe la prospettiva di venir preso tra due fuochi a partire da maggio, quando cioè il Presidente Montezemolo, esaurita la corvée al vertice di Confindustria, tornerà a Maranello. Si tratta ovviamente di malignità, perché tutta la Ferrari, dagli azionisti di controllo alla famiglia del Fondatore, sarà eternamente grata a Todt e, anzi, lo vorrebbe per sempre con sé. È invece assai credibile che il manager francese ritenga maturi i tempi per quel cambiamento cui non ha mai nascosto di anelare, un cambiamento che gli permetta di recuperare spazi per la sua vita privata e lo riavvicini agli amici di un tempo. L'occasione giusta è imminente. Sta infatti per restare vacante un ruolo che gli si addirebbe alla perfezione, permettendogli di coniugare le legittime aspirazioni personali e lo spirito di servizio che ancora lo anima. Nel 2009 scadrà il mandato di Max Mosley alla presidenza della FIA, da lui gestita per quasi vent'anni con piglio anglocentrico. La FIA ha sede a Parigi e avverte forte l'esigenza di un «cambio di mano» al suo vertice. Jean Todt - così carico di prestigio, così lucido, rigoroso, onesto, latino e insieme mittleuropeo (la sua famiglia è di origine polacca) - sarebbe il perfetto presidente di tutti.