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Gianfranco Giubilo Va reso ...

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L'umore è quello giusto, il tifoso sa benissimo che l'impresa alla quale è chiamata la Roma al Santiago Bernabeu è di pesantissimo coefficiente di difficoltà. E, anche se il punteggio richiama il successo della scorsa stagione sul Manchester United all'Olimpico tutti, dal tecnico, ai giocatori, a quel meraviglioso pubblico che ha sostenuto la squadra nei momenti più critici del martedì sera, hanno mantenuto toni morbidi. Contro gli inglesi, la Roma aveva raccolto in proporzione inadeguata ai meriti espressi, fino a far ritenere che la trasferta all'Old Trafford fosse quasi una formalità. Sappiamo come è finita, dunque apprezzabile che si sia conservato il sangue freddo, fidando nella serenità che più volte ha prodotto autentici miracoli di volontà e di concentrazione: le armi che, sole, potrebbero anche consentire di uscire indenni dalla Casa Blanca, così autorevolmente presidiata. Una critica non velata dalla tentazione del trionfalismo, che in passato più di un guasto aveva prodotto, induce a prendere atto di un progresso rispetto alle tre ultime uscite in campionato, compresa la vittoria sulla Reggina, frutto di lampi più che di imperioso incedere. Nello stesso tempo, rimane la sensazione che la Roma attuale non sia quella che per gran parte della stagione era stata in scia all'Inter, prima che episodi fortunati per la capolista dilatassero il distacco in termini quasi improponibili per una sia pur tenue speranza di aggancio. E se è ragionevole pensare alla chance di un ulteriore passo avanti in Europa, non sarebbe giusto perdere di vista l'obiettivo del secondo posto, garante di un salto di qualità anche in termini economici. La Roma è infatti alle prese con non trascurabili problemi di rinnovi dei contratti, anche se la società sembra guardare con incrollabile fede alla blindatura di De Rossi e Aquilani, quest'ultimo forse non più così convinto di trovare a Trigoria la gloria che vorrebbe in termini brevi, non avvertendo come garantito un posto da titolare inamovibile. Amantino Mancini sta bene da queste parti, certo che qualche piccolo strappo al troppo volte sbandierato tetto degli ingaggi si dovrà pure praticare, quale che possa essere la forma contrattuale: infatti l'incentivo dei premi promette margini di movimento tali da aggirare anche i limiti imposti dalle regole dettate. Partirà invece sicuramente Matteo Ferrari, salutato martedì sera da fischi stupidi prima che ingenerosi, perché questo ragazzo ha puntualmente risposto all'appello con straordinaria professionalità, la stessa che sarà dimostrare nella prossima destinazione, che si annuncia di livello prestigioso. Ma del resto, se una parte del tifo ha insultato tutti i partenti, da Capello a Emerson, ma anche a Chivo, a Cafu e perfino a Franco Tancredi, una bendiera del secondo scudetto, forse dovremo rassegnarsi alla legge dell'intolleranza cieca, il bollino del traditore, a chi cambia maglia, non lo toglie nessuno. Nell'immediato, Spalletti dovrà non soltanto far salire il tasso atletico di una Roma non proprio al massino dei giri, ma fare i conti con l'immancabile emergenza, per la Fiorentina e per l'Inter non ci sarà Juan, si spera possa essere in campo al Bernabeu. Le alternative non mancano, il livello della solidità difensiva è però destinato ad abbassarsi.

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