Fabrizio Fabbri Tanti alibi ...
Così, nel settore degli esterni le scelte per Repesa sono state obbligate con Stefansson, arruolato in ossequio all'amore per la causa, nel ruolo di playmaker. Ma aggrappandosi all'esperienza dei suoi uomini migliori, e alla zona che Repesa ha ordinato da metà primo quarto in poi, la Virtus ha rotto il ritmo di una Capo d'Orlando obbligata ad inserire nei propri meccanismi i nuovi Beck e Mejia. Pozzecco, l'anima dei siciliani, aveva un conto aperto con il coach de capitolini. Storie vecchie, ma che il passare dei giorni non ha sopito. Così s'è capito fin dal primo pallone che per il guitto del parquet non sarebbe stata, nel bene e nel male, una partita come tutte le altre. Tra un sfera arancione scagliata in tribuna ed una giocata da far spellare le mani Roma s'è messa, nella prima metà, a condurre, giungendo sul + 12 (28-40). Vantaggio però non capitalizzato perché proprio Pozzecco, con una tripla siderale ed il gentile regalo di tre liberi (evidente il piede sulla linea dei 6,25) ha ridotto al 20' fino al 34-40. Tutto è sembrato poi scivolare via quasi per forza d'inerzia. De La Fuente ha insaccato la tripla del 38-51 che è sembrata poter lanciare i titoli di coda. Ma la stanchezza, figlia della beffa di Mosca, e le assenze sono diventate alleate di Pozzecco dei suoi fidi. Mejia s'è impossessato, assieme a Beck, della ribalta, mentre per Roma, Hawkins è sembrato un povero Don Chisciotte lasciato assieme al suo Sancho Panza, leggasi Stefansson, a battagliare contro i propri incubi. L'esordio di Crosariol, una manciata di secondi, non è servito a frenare l'emorragia. E così Capo d'Orlando è scappata e Roma, con la lingua di fuori s'è arresa.