Rino Tommasi Il fuso orario, ...
Senza entrare nella girandola di confronti che sono affascinanti nella stessa misura in cui sono impossibili, in sede di frettoloso commento alla sua morte mi sono limitato ad affiancarlo a Bruno Arcari ed a Nino Benvenuti nella definizione di miglior pugile italiano di ogni tempo. Su Arcari, che pugilisticamente è stato un po' una mia creatura, possono non essere obiettivo perché ha rappresentato una scommessa vincente di fronte allo scetticismo di tanti esperti. Benvenuti ha il fascino di una straordinaria carriera dilettantistica, di una medaglia d'oro olimpica e di quelle magiche notti americane. Ha un po' offuscato i suoi meriti allungando troppo la carriera. Nessun dubbio, però, che Nino sia stato il pugile più importante nella storia del nostro pugilato. Detto questo non posso dimenticare quello che ha rappresentato Duilio Loi che ha tenuto in piedi la nostra boxe per dieci anni prima che la fortunata generazione olimpica del 1960. Loi è stato il prodotto migliore della generazione che è esplosa nel dopoguerra. Era nato a Trieste nel 1929, ha esordito al professionismo nel 1948 senza il viatico e le esperienze di una lunga carriera dilettantistica. Il neo-professionista Loi ha potuto sostenere nell'arco di tre anni 43 incontri, vincendone 41. Dovette accontentarsi di un pareggio quando nel 1950 ha affrontato a Viterbo Luigi Malè, che combatteva a casa propria e difendeva il titolo italiano dei leggeri.Nel 1952 ha sconfitto però a Cagliari Emilio Marconi, che era bravo quasi quanto lui ma non ne aveva la stessa personalità, la stessa furbizia. Queste qualità però non gli sono state sufficienti a Copenaghen il 17 agosto 1952 nel suo primo tentativo di conquistare il titolo europeo. Umberto Bianchini, che era all'epoca il suo manager, mi ha detto che era stato un verdetto accettabile, che Loi non aveva ancora preso coscienza delle sue possibilità. Per ottenere la rivincita e vendicarsi, Loi ha dovuto attendere un anno e mezzo. Si è fatto un'esperienza con due larghi pareggi fuori casa, a Foligno contro Antonimi ed a Grosseto con Marconi ma quando il 6 febbraio 1954 si è ritrovato di fronte Johanssen a Milano non gli ha concesso tregua. Successivamente ha risolto una difficile rivalità con Bruno Vinsintin, poi ha tentato la fortuna all'estero, prima a Miami, dove ha battuto Flanagan e poi in Australia dove ha vinto tre incontri nel 1954. Loi ha tenuto il cartellone milanese con tre incontri di grande livello e di grande richiamo. Il cubano Orlando Zukueta gli ha inflitto ferite terribili in una sfida memorabile nel 1956, in piene Olimpiadi invernali di Cortina, poi ci sono stati due capolavori tattici contro il picchiatore francese Ferrer e contro Giancarlo Gabelli. Una serata storta (pari con lo spagnolo Hernandez nel 1956) è stata ricattata con una prestazione di lusso contro uno spagnolo di maggior prestigio, Fred Galiana, costretto alla resa in sei riprese sul ring del Vigorelli. Un pari con Vecchiatto, due belle vittorie contro il solito Marconi e Visintin, poi l'avventura a San Francisco dove Carlos Ortiz ottenne il verdetto ma gli ha consentito di prendergli le misure. Specialista nel battere la concorrenza olimpica la sera del 1° settembre 1960, il giorno del salto in alto ai Giochi di Roma Loi ha riempito lo stadio di San Siro conquistando il titolo mondiale contro lo stesso Ortiz, dominato ancora e messo al tappeto nella terza sfida (10 maggio 1961), sicuramente il suo match capolavoro. Forse Loi era ormai stanco, forse ha trovato un pugile più giovane e altrettanto bravo nel nero americano Eddie Perkins. Non sarei onesto se non ricordassi come le tre sfide con Perkkins Loi le ha perse tutte e tre anche se i verdetti sono stati una vittoria, un pari ed una sconfitta. Lo ha capito anche lui che era giunta l'ora di smettere ed è stata, dopo quelle offerte sul ring, la sua più grande prova di intelligenza.