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Quel micidiale black-out cerebrale

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I quali non possono farci granché: indipendente dallo stimolo a conseguire il risultato, nella testa si spengono di colpo le lampadine e buonanotte. Magari il black out dura il tempo di un rigore, ma poi resti sul dischetto tutta una vita: come ben sa Baggio, che il penalty nel finale di Usa '94 lo aveva segnato solo in un memorabile spot, e poi, pur di dimenticare, si è squagliato nella meditazione zen, finendo per prendersela con le anatre nella riserva di caccia in Argentina. E sono molti, tra i suoi colleghi calciatori, che adesso possono sbandierare a loro discolpa lo studio degli scienziati americani: Di Biagio, Serena, Donadoni, tutti marchiati a fuoco dall'errore mondiale, ma vivaddio anche Trezeguet, che si è svegliato per un anno, madido di sudore, sentendo nella testa il tonfo sordo della porta di Berlino, mentre il fantasma di Domenech gli tirava i piedi sacramentando. Per non dire di Conti e «Zurulittu» Graziani, imperituri semidei giallorossi, inciampati nella sventurata notte all'Olimpico col Liverpool: pare si siano già messi in contatto con i ricercatori del Missouri, perché negli occhi dei tassinari, dei facchini a Fiumicino, e di tutti i lupacchiotti di mezz'età, ancora galleggia il lutto per quella Coppacampioni '84 volata via oltre la traversa di Grobbelaar. Forse, se la ricerca neurologica avrà delle applicazioni, basterà trovare il filo della messa a terra nel cranio e l'impianto elettrico non salterà: e Hamilton non finirà con la gomma fusa nella ghiaia, il rugbista Bortolussi non calcerà fuori dai pali alti il piazzato decisivo contro la Scozia, e via trionfando. Forse, guardando oltre i campi gloriosi dello sport, Padoa Schioppa non si fulminerà da solo a colpi di «bamboccioni» e «tasse bellissime».

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