Quella voglia di impartire
Ci si è messo anche Enzo Bearzot, degno di ogni stima e rispetto, a invocare sanzioni contro il capitano romanista, che può giocare per il suo club e non in azzurro, come se la vicenda non fosse stata chiarita in tutti i suoi termini e come se Donadoni fosse obbligato da Totti a convocarlo in settembre. Francesco ha esposto la sua situazione, la sua attuale renitenza, dopo il sacrificio del Mondiale, a impegnarsi in un doppio ruolo. Si può accettare il suo punto di vista oppure bocciarlo, però nessuno ha costretto nessuno, penso che un civile colloquio sia sufficiente a chiarire ruoli e responsabilità. Insomma, come recitava un grande poeta della Roma antica, «co 'sta storia de Totti, mo' ce l'avete rotti». E magari se Francesco si fosse reso disponibile per la partita di Bari con gli scozzesi, sarebbe uno dei tanti Azzurri in ritiro e riceverebbe le stesse attenzioni dedicate in questi giorni, con merito, a Tommaso Rocchi e magari a Max Tonetto. Ma questa storia suggerisce anche un risvolto curioso, perché se Bearzot parla di provvedimenti contro il capitano non bestemmia, almeno in termini regolamentari, essendo prevista la squalifica per chi non onora la convocazione in Nazionale: in base a norme che fanno a pugni con la logica, con i più elementari dettami giuridici, con i diritti di qualsiasi prestatore d'opera. Con tutta evidenza, queste regole federali sono inique: e vessatorie nei confronti di chi i giocatori tiene a libro paga ed è costretto a prestarli a titolo gratuito alla maglia azzurra, rischiando di vederseli tornare acciaccati e inutilizzabili a lungo. E la Lega Professionisti, che gli interessi dei club è tenuta istituzionalmente a tutelare, non ha mai fatto una piega, tanto che si è dovuti arrivare, in Europa, alle iniziative del G14, malvisto dai benpensanti, per rimuovere ingiustizie palesi nel mondo del lavoro, al quale il calcio appartiene. E che cosa accade in Italia? Che come vicepresidente della Federazione venga proposto addirittura Matarrese, leader della Lega, o magari Massimo Moratti, esponente del club più ricco. Così due organismi in posizione di istituzionale conflittualità deciderebbero, seduti allo stesso tavolo comune: qualcosa di delirante, ma sembra che nessuno abbia voglia di ragionarci sopra, di rivedere i protocolli dei diritti e dei doveri, di restituire ai club l'indipendenza nella gestione dei loro stipendiati e ai giocatori una dignità personale nelle proprie scelte. Chi declina l'invito di un cittì può metterlo di malumore e spingerlo a escluderlo dal gruppo, ma un'eventuale squalifica in campionato è qualcosa di ridicolo e oltraggioso.