Il cannibale del ghiaccio
Il nuovo fenomeno del pattinaggio ha centrato il miglior risultato della storia azzurra
E bravo ragazzo lo è anche: colto, disponibile, gentile. Ma cattivo, terribilmente cattivo, quando calza i pattini e si presenta sul ghiaccio, pista lunga. Lì, se potesse, azzannerebbe anche il suo miglior amico: un Cannibale della vittoria, ecco chi è Enrico Fabris. Cannibale come tutti i più grandi di tutti gli sport, da Fausto Coppi a Michael Jordan, da Armin Zoeggeler a Fabio Cannavaro. Meno di un anno fa, alle Olimpiadi di Torino 2006, ha fatto saltare il banco: due medaglie d'oro e una di bronzo, come lui nessun altro italiano prima. Come si ricordano, a distanza di qualche mese, i venti giorni olimpici? «Come una splendida favola, iniziata appena arrivato al villaggio olimpico e terminata sul palco della Medal Plaza. Un sogno, molto semplicemente: a Torino ho provato emozioni che difficilmente riesco ancora oggi a trasformare in parole. Mi resterà sempre impressa nella memoria la premiazione, la sera dopo l'oro nei 1500 metri in piazza Castello: la festa della gente, l'entusiasmo, i tricolori ovunque. In quel preciso istante ho capito cosa avevo fatto davvero». Il timore è sempre quello che certe discipline e certi atleti vivano sotto i riflettori i giorni del trionfo e vengano poi dimenticati per i successivi quattro anni: le sta capitando la stessa cosa? «Direi di no. La gente mi riconosce, mi ferma per strada e mi chiede l'autografo. Inutile però pensare che un pattinatore come me raggiunga livelli di celebrità come quelli di un calciatore. Mi va bene così, comunque. Molti mi dicono di essersi emozionati fino alle lacrime per le mie vittorie, ma io mi imbarazzo: sono rimasto lo stesso di prima, con i piedi ben piantati per terra». L'avranno invitata a mille premiazioni e serate di gala. «Vero. Ma siccome a me piace vincere, ho dimezzato le mie partecipazioni a eventi di questo tipo. Io amo la fatica, gli allenamenti sul ghiaccio e la preparazione a secco. E quando sono stanco, mi piace sdraiarmi sul letto e leggere un buon libro». E le passeggiate sui suoi monti? «Irrinunciabili e impagabili: da solo, nel silenzio più assoluto. Passeggiate a piedi o allenamenti in bicicletta: non ci rinuncerei per nulla al mondo». Gli sponsor però non gradiranno. O sì? «Gli sponsor sono contenti se io vinco. E poi non fraintendiamo: ho fatto quel che dovevo, poi sono tornato ad allenarmi per poter vincere ancora ed essere ancor più popolare». Nei giorni dei Giochi era scettico sulla possibilità di partecipare a un reality: ora che ne pensa? «Potrei anche farlo. E non sarei neppure il primo sportivo ad accettare». Ma lei non era timido? «Lo ero e lo sono tuttora. Ma si impara a convivere con situazioni nuove e stimolanti». Enrico Fabris in cosa crede? «Nei valori che mi sono stati insegnati dalla mia famiglia. Devo un grande ringraziamento ai miei genitori: mi hanno educato senza forzature». Ha anche incontrato il Papa, dopo il trionfo olimpico: sensazioni? «Un momento indimenticabile, anche perché io sono cattolico praticante. L'ho incontrato in Vaticano, durante la giornata mondiale della gioventù: me lo sono trovato davanti che mi faceva i complimenti. Incredibile». Fabris ha un vizio, un difetto? «Forse sono un po' troppo maniaco degli allenamenti: quando penso al pattinaggio trascuro tutti, anche gli amici e gli affetti. Forse esagero con il perfezionismo». Quali i prossimi impegni? «Dal 12 al 14 gennaio gli Europei in Alto Adige. Poi, dal 17 gennaio, sarò a Torino per le Universiadi. E a febbraio dovrò pensare alle gare di Coppa del Mondo».