Fairplay
Hamilton sarà il primo nero a competere in Formula 1. Mi accorgo, mentre scrivo, che c'è una certa difficoltà a definire un atleta con il colore della sua pelle. Ho scritto «nero» dove molti preferiscono usare altre parole come «afro americano» ed altre. Si dice anche «atleta di colore» senza pensare che questa definizione viene applicata solo se il colore è nero ma mai se è giallo. Il problema è che il mondo, con diverse sfumature e difficoltà, è ancora razzista. Non è razzismo ma solo figlio di ignoranza il becero atteggiamento di molte curve del calcio che insultano i neri delle squadre avversarie perché è lo strumento più facile per disturbarli. Per capire il razzismo vero non è nemmeno necessario fare la storia dell'apartheid nei paesi (il Sud Africa, per esempio) dove il fenomeno si è espresso con maggior rilievo. Gli Stati Uniti costituiscono invece il campione più significativo di un disagio che nel campo dello sport ha esempi clamorosi ed importanti. Ci sono, nella storia dello sport, atleti e campioni che dividono la loro popolarità tra i risultati ottenuti ed il colore della propria pelle. Nella mia personale biblioteca che, lo affermo con un pizzico di presunzione, penso sia tra le più fornite nel settore della letteratura sportiva, c'è un prezioso volume «The Sports 100» che raccoglie la biografia delle 100 più importanti personalità nella storia dello sport americano. Ebbene è significativo che il numero uno di questa interessante rassegna sia Jackie Robinson che è stato certamente un grande campione del baseball ma è stato «anche» il primo nero ad essere accettato, nel 1947, nella principale lega professionistica. Gli Harlem Globetrotters sono nati e poi scomparsi perché nell'immediato dopoguerra erano l'unica opportunità di guadagno e di visibilità per i neri che, nel basket, hanno atteso anni prima di essere ammessi nella NBA e diventarne poi i grandi protagonisti. Ci sono tanti campioni, nella storia del tennis, che hanno vinto più di Athea Gibson e di Arthur Ashe, ma loro sono ricordati soprattutto perché sono stati i primi neri a vincere titoli del Grande Slam. Ci sono stati episodi molto significativi che dimostrano il rilievo che il problema razziale ha avuto ed ha nel mondo dello sport americano. Nel 1938 quando il nero Joe Louis ha affrontato il tedesco Max Schmeling per il titolo mondiale dei pesi massimi tra gli spettatori c'erano molti americani bianchi che tifavano per il pugile bianco ed hanno pianto per la vittoria del loro connazionale nero. Più recentemente un personaggio della TV americana, Jimmy The Greek, è stato licenziato in tronco dalla ABC per una intervista nella quale cercava di spiegare come la superiorità atletica dei neri derivasse dall'epoca degli schiavi, quando il padrone bianco faceva accoppiare (come si fa per i cavalli) i propri schiavi per ricavarne un prodotto migliore. Ugualmente licenziato il general manager dei Los Angeles Dodgers, Tommy Lasorda, che aveva risposto alla domanda perché non ci fossero neri tra i dirigenti del baseball sostenendo che i neri non avevano le qualità per ricoprire incarichi di quel genere. Non è stato invece licenziato, ma ricoperto di critiche ed insulti, il più popolare commentatore sportivo americano, Howard Cosell, che in una telecronaca di un incontro di football, per sottolineare una prodezza atletica di un giocatore ha detto: «guardate che cos è stato capace di fare quella scimmia!». Se il giocatore fosse stato bianco nessuno ci avrebbe fatto caso, ma poiché era nero ci sono state polemiche ed interpellanze parlamentari. C'è ancora molta strada da fare ma temo che il traguardo non sarà mai raggiunto.