A testa alta
A 33 anni il mediano di apertura del Calvisano ha un solo obiettivo in testa: la Rugby World Cup 2007. A settembre vuole, più di ogni altra cosa, essere in Francia con il gruppo azzurro. Per questo ha lasciato la «sua» Rovigo per il più ambizioso Calvisano che gli consente di essere di più sotto i riflettori. Oggi contro il Canada reduce dalla sconfitta di Cardiff ha finalmente, dopo una serie interminabile di occasioni mancate, la possibilità di guidare l'Italia con la maglia n.10 sulle spalle in un test internazionale. «Non vedo l'ora di scendere in campo! Il mio traguardo è quello di partecipare ai Mondiali di settembre. Questa convocazione di novembre è stata una grande soddisfazione per me, significa che le mie scelte stanno pagando e che ho dimostrato qualcosa in questo campionato». Cosa si aspetta dalla partita contro il Canada? «Desidero con tutte le mie forze dare il massimo e dovrò stare attento a non strafare. Il vero pericolo nella mia condizione è quello di andare oltre per la voglia di dimostrare qualcosa. Voglio, al contrario, fare quello che ci chiede Pierre Berbizier: un rugby semplice ma di movimento, con le individualità al servizio del collettivo. Ovvio che voglio vincere, a questo punto la squadra ha bisogno solo di vittorie per migliorare la fiducia in se stessa». Dopo le delusioni passate come vive questo momento del rugby azzurro? «Un atleta vive di motivazioni, ed io ho sempre visto nella maglia azzurra un obiettivo. A questa età voglio partecipare al Mondiale che è qui a portata di mano, anche se non sarò titolare. In quel caso mi piacerebbe comunque far parte del gruppo». Dopo essere stato lontano, quali differenze ha trovato nell'ambiente della nazionale rispetto al passato? «L'ambiente è certamente più compatto e sereno, si lavora con un altro spirito. Per me in particolare, che nelle precedenti gestioni avevo ottenuto delle convocazioni senza mai riscuotere al fiducia dell'allenatore e dello staff, è un piacere lavorare con Pierre ed il suo gruppo». Il rapporto con i suoi allenatori, Delpoux e Berbizier, sembra avere effetti positivi sul suo rendimento. «Il cambio di maglia mi ha fatto bene, dovrò sempre ringraziare Alfredo Gavazzi per avermi portato a Calvisano dove gioco la Heinekhen Cup e dove ho incontrato Delpoux, con cui mi trovo in sintonia, anche se non è stato facile lasciare Rovigo, la mia squadra e la mia città, ma non avevo scelta». Quest'anno partecipa di più al gioco. «Sì, anche Delpoux vuole un rugby di movimento, inoltre a me piace molto giocare con l'ovale tra le mani, a dispetto di quello che pensano molti. In passato non sempre ho militato in squadre in grado di seguire questo gioco». Il gruppo azzurro. Com'è il suo rapporto con Pez che sostituirà oggi? «Il rapporto con Ramiro è ottimo. Ci conosciamo da anni e siamo entrambi ottimi professionisti. Tra noi c'è collaborazione. Nel rugby moderno non puoi permetterti di non avere alternative per alcun ruolo, figuriamoci per l'apertura». Perché è soprannominato «Pepe»? «Ho cominciato a giocare presto, a 6 anni. Mi portava al campo del Rovigo mio zio. Mi capitava spesso di giocare con ragazzi più grandi di me, ma siccome ero moro, scuro e imprendibile, mi chiamarono "Pepe"».