Lo Cicero: «Pronto a domare i Pumas»
Andrea Lo Cicero Vania, questo il suo nome completo che tradisce le origini nobili, ha conosciuto l'amara altalena della gloria. Ha avuto il suo esordio con Johnstone, si è affermato con Kirwan diventatando l'icona del rugby nazionale. Servizi giornalistici, copertine, la sua immagine ovunque. Con l'avvento di Berbizier e l'esplosione di Perugini e Carlos Nieto la retrocessione in panchina, un anno e mezzo di purgatorio, il Sei Nazioni vissuto ai margini del gruppo azzurro. Sabato scorso è tornato titolare contro l'Australia e si è fatto trovare pronto, risultando tra i migliori in campo. Come ha fatto? «Il destino di un professionista si definisce in questi momenti. Stai fuori e mordi il freno, inutile negarlo. A nessuno piace sedere in panchina, ma devi lavorare duro per essere pronto quando arriverà il tuo turno» Oggi il nemico si chiama Argentina, la squadra più "calda" del momento per aver battuto l'Inghilterra la settimana scorsa, la migliore scuola tecnica del mondo per il gioco di mischia, il massimo per uno che ha scelto di vivere in prima linea... «Per noi piloni giocare contro i Pumas ha un sapore particolare. Rispettiamo molto la squadra di Loffreda, la vittoria di Twickenham è di portata storica. Loro sono i migliori del mondo e affrontarli significa avere la possibilità di battere i più forti, soprattutto nel nostro ruolo. Tra noi della prima linea ne abbiamo parlato in settimana, ma ci sentiamo pronti». Per informazioni chiedere al pack australiano, letteralmente distrutto dai primi cinque uomini azzurri... «Contro l'Australia abbiamo fatto una buona partita, ma contro l'Argentina dovremo superarci. Ammiriamo molto il loro gioco e la loro organizzazione, riescono a mantenere sempre vivo il pallone quando ne sono in possesso, mentre sono bravi ad affossare il gioco quando l'ovale è nelle mani degli avversari». Per questo Berbizier vi ha chiesto di attuare un piano di gioco diverso rispetto al match contro i wallabies? «Certamente. L'Australia è una squadra capace di giocare molte fasi per destabilizzare la difesa, quindi devi cercare di interrompere e accorciare le sequenze di gioco. Con gli argentini il problema è opposto. Meglio mantenere l'iniziativa e il controllo del pallone». Come ha vissuto il periodo in cui era in panchina? «Credo di aver dimostrato di averlo superato con grande umiltà e rispetto verso le scelte dell'allenatore, o verso chi gioca al posto che potrebbe essere tuo. Nel rugby moderno le rose sono sempre più numerose e la concorrenza è alta, c'è più turn-over. Saper accettare la panchina è fondamentale. Oggi mi sento diverso, sono meno istintivo di qualche tempo fa, quando ero più "anarchico" e individualista. Anche l'incontro con Berbizier ha contribuito a farmi capire molte cose. Al termine del tour estivo mi ha detto delle parole molto belle che terrò per me e serviranno come stimolo per tutta la stagione». Tra i titolari azzurri lei è uno dei pochi che gioca in Italia (a L'Aquila, ndr). Può essere uno svantaggio? «Giocare in Francia e Inghilterra è molto duro, il livello di quei campionati è impegnativo però rispetto al Super10 c'è più turn over, cosa che ti consente di recuperare. In Italia un giocatore nazionale è un leader del suo team e gioca ogni partita dal 1' all'80', i match sono tutti duri». Pensa di ripetere l'esperienza di giocare all'estero? «Sono orgoglioso di giocare a L'Aquila, una società gloriosa, ma un professionista deve sempre puntare a migliorarsi, quindi penso che tornerò a giocare fuori, non appena si presenterà l'occasione giusta». Tra gli azzurri di Berbizier è uno dei veterani. Cosa pensa di questo gruppo? «Sono qui da otto anni e sono innamorato della maglia azzurra. Ho visto passare allenatori e tanti ragazzi e questo gruppo l'ho visto nascere e crescere e oggi mi sembra maturo per cogliere quelle vittorie che ci meritiamo per l'impegno e per il lavoro che facciamo e per i progressi che dimostriamo continuamente». Una delle leggi su cui si f