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di MARCO GRASSI DA ZERO a tutto nel volgere di un attimo brevissimo.

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Oggi conquisti le prime pagine dei giornali e le dirette televisive, perché hai compiuto un'impresa che ti lascerà per sempre negli albi d'oro, prima donna italiana a conquistare una medaglia d'oro nella ginnastica. Ti ritrovi catapultata di colpo in una dimensione diversa, anche se non sei nuova ai successi personali (argento all'Europeo un anno fa), ma ora è tutto nuovo, scintillante dell'oro che ti resterà attaccato al collo per sempre: e di tempo per pensarci ne hai tantissimo, perché il prossimo 11 novembre compirai appena 16 anni. Appena 16 anni e d'improvviso Vanessa Ferrari, fuscello bresciano di 37 chili (1,43 d'altezza), che si allena in una non palestra (federazione, scuciamo?), è al centro delle attenzioni di tutti. Attenzioni e pressioni. Perché dopo l'oro nel concorso generale conquistato giovedì, già in tanti l'hanno piazzata sul podio di Pechino 2008, e ovviamente nel frattempo era quasi scontato che Vanessa dovesse portare a casa altre medaglie da conquistare nelle altre prove di questo Mondiale danese (si svolge ad Aarhus). E infatti venerdì la ginnasta si è presa un bronzo nelle parallele asimmetriche; e ieri era attesa alle ultime due prove, trave e corpo libero. Ma se nella prima si sapeva che avrebbe incontrato qualche difficoltà (partiva in finale con l'ottavo e ultimo risultato di qualificazione), nel secondo la piccola bresciana era considerata tra le favorite. Ecco la trave. L'ucraina Krasnianska è la più brava nell'esercizio, ma la giuria ci pensa e ci ripensa, e si dilunga oltre il lecito per esprimere un giudizio che porrà comunque la ragazza in testa alla classifica provvisoria. La conseguenza di tale dilazione è un crollo della concentrazione delle atlete che gareggiano dopo Krasnianska. C'è subito la connazionale Shcherbatikh, che infatti cade, e in generale non ne azzecca mezza, e infatti sarà ottava. E poi c'è Vanessa, che già giovedì era scivolata dalla trave, durante il concorso generale. Appare determinata, volteggia come una libellula su quei 10 centimetri di barra traditrice, esegue ottimamente i salti più difficili, però si deconcentra su un facile enjambée, perde aderenza, scivola e batte la coscia sulla trave. Risale, continua, alla fine è sesta, ma senza la caduta e gli 8-9 decimi che comporta in termini di penalità e di conseguenze nel complesso dell'esercizio, sarebbe sul podio. E va bene, non si può volere tutto dalla vita. Si può anche accettare col sorriso una sconfitta. Questo fa Vanessa, sorride, e rimanda le ambizioni di medaglia al corpo libero. Un terzo posto è un altro tassello colorato a comporre il fantastico mosaico di questi mondiali. Vanessa è stanca, come ammette lei stessa. La pedana non dà la spinta giusta, lei manca un avvitamento, non completa una tripla piroetta, lascia due decimi qui e due là. Ma è brava, e porta a casa un altro bronzo, si arrende a Fei Cheng (Cina) e Jana Bieger (Usa), ma sul podio c'è anche lei, per la terza volta in tre giorni. Dopo la medaglia dell'incoscienza e quella dell'entusiasmo, arriva quella della fatica. E si cresce, così si cresce. Si diventa grandi.

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