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Oltre ogni ostacolo

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E fu anche una proto-femminista, che amava uscire da sola, anche di sera, per andare al cinema. Ma la rivelazione che più fece scandalo, e ottenne una doppia pagina sulla Domenica del Corriere, fu la sua simpatia per la moda omosex: «Preferisco i pantaloni - disse Ondina - sono più comodi e mi fanno sembrare più alta». Nata a Bologna da genitori emiliani, Ondina è morta ieri a l'Aquila, novantenne. In quel remoto giorno di gloria sportiva, a Berlino, non ne aveva ancora venti. Ricordo distintamente quel pomeriggio che la radio (allora detta EIAR) diffuse la notizia: mi trovavo allo stadio veneziano di Sant'Elena vestito da balilla, sotto un sole cocente. L'altoparlante aveva appena minacciato una visita del Duce, che poi non venne. In compenso arrivò via radio-naja quella splendida novità della «ragazza Ondina», che nello stadio della capitale tedesca aveva battuto tutte le avversarie, dalle crucche germaniche alle segaligne britanniche, per non parlare delle snobbine parigine con la frangetta alla garcon. Da quel momento le mie compagne di ginnasio cominciarono a darsi un sacco di arie: un vezzo che non dismisero più. Il giorno seguente «Il Gazzettino» dedicava un'intera pagina alla maschietta dalla coscia lunga, svelando un segreto che la Valla non sopportava: il suo vero nome non era Ondina, ma Trebisonda. Gliel'aveva affibbiato il padre (questi padri sadici!) che da ragazzo s'era affezionato a una foto della città turca di Trabzon. A dispetto del nome strampalato, Ondina ebbe un'adolescenza lieta e sportiva. A tredici anni vinse la corsa degli 80 metri ai «Ludi Juveniles». A 14 era campionessa assoluta, esaltata dal quotidiano di Mussolini «Il Popolo d'Italia» come «esempio della sana e robusta gioventù littoria». Un celebre cronista dell'epoca, credo Orio Vergani, le dedicò una metafora dannunziana: "il sole in un sorriso". La Valla non fece troppa fatica ad emergere fin dai tempi del ginnasio. A parte corporatura agile e ben proporzionata, e la lunga falcata, Ondina poté contare su una grinta e una tenacia senza pari. L'insegnante di ginnastica la chiamava il «monellaccio». Il che non significa che mancasse di grazia e di charme. Ne sapevano qualcosa i suoi compagni di classe, ai quali ogni tanto lanciava sguardi obliqui, da seduttrice di razza. A dar credito ai cronisti che la intervistarono dopo la medaglia olimpica, Ondina parlava lentamente, con una voce bassa e armoniosa e ogni suo gesto aveva qualcosa dell'attrice naturale. La sua carriera fu lunga, oltreché fortunata, perché riuscì a riconquistare l'alloro olimpico nel '48, dodici anni dopo la prima vittoria. Ma quei suoi exploit - lei teneva a sottolinearlo - erano il frutto di sacrifici durissimi e di una lotta quotidiana contro il mal di schiena, di cui aveva sofferto fin da bambina. Ciò che non poteva sopportare, era arrivare seconda sul traguardo. Il che significa che anche nello sport vale la formula di cui parlava lo scrittore Gustave Flaubert: «Il successo è una lunga pazienza».

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