di GIANFRANCO GIUBILO HA UN suo fascino, la Nazionale, specialmente quando riesce a salire in cima al mondo.
Si riparte con Roma e Palermo al comando, l'Inter a ridosso, il calendario a proporre qualche difficoltà in più proprio ai giallorossi in viaggio per Reggio Calabria, mentre le altre due giocano in casa, più facile per l'Inter che attende un Catania mutilato e avvilito dalla squalifica del campo, in Sicilia scende invece un'Atalanta che sta onorando il suo ritorno in Serie A. Situazione diversa, per la Roma, rispetto all'ultima trasferta sullo Stretto: era l'esordio di Spalletti, la prima giornata della stagione scorsa, e la nettissima vittoria aveva aperto la porta a grandi prospettive, prima di un periodo negativo per certi versi inspiegabile. Poi la memorabile cavalcata del girone di ritorno che avrebbe prodotto, grazie al ribaltone di calciopoli, l'ingresso diretto in Champions League. La Reggina è partita con un pesante fardello sulla schiena, una penalizzazione durissima: senza la quale i cinque punti raccolti nei primi quattro turni significherebbero onestissima metà classifica. Un ostacolo non facile, dunque, ma soprattutto perché la Roma, attesa da nove partite e cinque dure trasferte in un mese, deve far fronte a quella emergenza che è ormai divenuta stucchevole costante, con un organico non maestoso e i troppi frequenti problemi fisici. Spalletti aveva sperato che la pausa internazionale gli avrebbe riconsegnato quasi al completo la sua pattuaglia titolare, invece il solo Mancini è in grado di tornare in campo, mentre nel frattempo si sono perduti altri pezzi, da Panucci fermato dal mal di schiena, ad Aquilani, a Mexes. Aggregato alla truppa Montella che però accusa qualche piccolo malanno, una circostanza che si ripete quando l'«aeroplanino» non ha la sicurezza del posto, aggregato anche Taddei però sicuramente non disponibile nell'immediato. Insomma uomini contati, Cassetti e Tonetto sugli esterni, Ferrari e Chivu centrali protetti da De Rossi, Rosi, Pizarro, Perrotta e Mancini alle spalle di Francesco Totti, l'unico che può realmente avere tratto giovamento dalla sosta. Vigilia resa interessante soprattutto dalla disponibilità offerta da Luciano Spalletti per un ruolo da general manager con contratto a lungo termine, anche dieci anni. Come un Alex Ferguson o un Arsene Venger, insomma, salvo il trascurabile particolare della diversa struttura, non soltanto economica, della Roma nei confronti di un Manchester United o di un Arsenal. In effetti, Spalletti questo ruolo già se lo è accollato per far fronte ad altre carenze, dalla comunicazione alla progettazione, e dunque non deve dimostrare nulla, neanche lo straordinario amore per questa maglia e per questa città, che il tifo affettuosamente gli riconosce. Non va dimenticato però che, nonostante i suoi meriti nei tanti compiti svolti, Luciano nasce, ed è maturato, uomo di campo. E la sua attenzione all'addestramento e alla crescita dei giovani rischierebbe di essere distratta da altri problemi: ferma restando l'illimitata fiducia che tutti sono obbligati ad accordargli, senza riserve.