«Voglio rispetto»

Tra ironie («la metto io, in panchina», ha scherzato Donadoni dopo l'analoga proposta di Buffon) e qualche mugugno interno al gruppo («basta con questa storia»), la questione dell'assegnazione della maglia dell'assente Totti diventa in nazionale solo l'emblema di una mini-sindrome da assedio: fondata o meno, ma già così sviluppata da provocare un rapido sfogo del ct, al via dell'operazione Ucraina. «Sono gentile e disponibile con tutti, ma non vorrei che questo venisse interpretato come volontà di accettare qualsiasi cosa. Alle volte bisognerebbe avere più rispetto per il lavoro degli altri. Quello del mio, all'antivigilia della partenza per Roma - non è al primo posto nelle preoccupazioni: però una cosa sono le critiche, un'altra le cattiverie». Di più, al termine di una partitella di poco più di un'ora nella quale ha fatto le prime prove dell'Italia per sabato, Donadoni non ha voluto dire. Ma il riferimento doveva essere alle critiche per le convocazioni, al tam tam «geopolitico» sull'impatto con Roma, all'interpretazioni di certe frasi su Totti. E allo scetticismo generale sulla sua nazionale. Tutti argomenti dietro i quali si cela la cruda verità di una classifica pesante, e di un ct che mette già in gioco il suo ruolo: «Non vado oltre. Aggiungo che non avverto il peso di una partita già decisiva, ma solo del mio lavoro. Insomma, non mi sento un uomo solo - ha concluso - chi dice così, giudica da fuori senza sapere e dice cosa lontana anni luce dalla verità». Di fatto, sgomberato il campo dal timore di un Olimpico ostile come dimostra l'abbondante prevendita, resta la situazione di un'Italia costretta a vincere contro l'Ucraina, come al Mondiale. Pena un addio anticipato a Euro 2008 e la chiusura di un ciclo. E tuttavia il concetto di una vittoria «a tutti i costi» proprio non va giù a Donadoni, restìo ad accettare le controindicazioni da brivido del suo ruolo di ct. «Dite che in alto il vento è più forte? Sì, ma l'aria è più buona - la sua convinzione - non capisco una cosa, perchè qui si debba sempre andare in cerca del pepe, anche dove non c'è: sempre situazioni complicate, difficoltà, negatività. Se riuscissimo tutti ad esser più positivi...». Il riferimento non era, evidentemente, alla situazione infortunati: dopo Grosso, l'Italia rischia infatti di perdere anche Perrotta. La formazione, invece, Donadoni ribadisce di non averla ancora definita. «Le indicazioni non sono determinanti», ha spiegato riferendosi all'accoppiata Toni-Di Natale: di fatto, l'esterno dell'Udinese si gioca la sua chanche per il ruolo di attaccante di sinistra, insidiando la posizione di Del Piero provato con Inzaghi. I due hanno dato vita a scambi di rimproveri, più che di palloni giocabili, in memoria dei vecchi tempi Juve. «Ma io volevo soprattutto un'ora di giocate intense, e provare due possibili schemi», ha detto il ct. Ovvero un 4-3-3 da una parte, con Camoranesi a destra sulla linea di Inzaghi e Del Piero, e il 4-2-3-1 dall'altra. Modulo, questo, che simulava piuttosto la formazione ucraina. «Le soluzioni sono buone entrambi - si è limitato a dire Donadoni - A Parigi adattammo il nostro modulo all'avversario, stavolta non è detto si debba fare: piuttosto, il 4-3-3 ci può dare le qualità che serve». Dietro Materazzi al fianco di Cannavaro, in difesa Zaccardo se la gioca con Oddo favorito a destra. Per pensare alla maglia numero 10, insomma, c'è tempo. Anche in forza del patto interno tra i Campioni per cui tutti hanno diritto ad avere la maglia del Mondiale, quando tornano in nazionale (e sabato la maglia contesa potrebbe andare solo a Inzaghi tra i campioni o a Di Michele). «Ora tutti sappiamo che non possiamo più sbagliare», è piuttosto il motto di Donadoni.