Franco Sensi compie 80 anni oggi cerimonia al Campidoglio Da 13 è al timone della Roma

Alla mia domanda, che per altro aveva già una risposta, sul perché avesse preso la Roma a un prezzo così alto quando due anni prima avrebbe potuto rilevarla con molto meno, Franco Sensi rivelò: «Mi è stato impedito». Da chi e da quali pressioni politiche, facile intuirlo, dopo quella gestione Ciarrapico che ha rappresentato il picco più negativo della storia giallorossa, lasciando in eredità un cumulo di macerie. Il nuovo presidente, lo avevo conosciuto tanti anni prima, quando accompagnava il padre Silvio a cena dal «Moro» e già si affacciava nelle stanze importanti della Roma, fino a divenirne vicepresidente nella stagione della conquista della Coppa delle Fiere, finora unico trofeo europeo in bacheca. Una vecchia amicizia, dunque, con gli immancabili piccoli screzi che non incrinano gli affetti di fondo: come quando per la Roma Sensi scelse Carlos Bianchi e, ancora prima che arrivasse, tentai di spiegargli che, attento osservatore di tutto il calcio internazionale, spegnevo la Tv quando trasmetteva il campionato argentino, inguardabile, una gnagnera che non avrei voluto rivedere a Roma. Per le critiche al tecnico, il presidente rimase a lungo molto freddo nei miei confronti. Fino a quando, concluso il rapporto con Bianchi, da buon romanaccio impunito esternò le stesse feroci critiche per le quali tanti suoi amici erano stati messi al bando. Ma il carattere di fondo era sempre rimasto quello di un uomo profondamente buono, capace di lasciarsi trascinare dai sentimenti anche quando il raziocinio avrebbe dovuto consigliare più attente valutazioni. Un esempio per tutti: gli sciagurati rinnovi di contratti molto onerosi dopo la conquista del terzo scudetto della storia romanista, che poi avrebbero esercitato un peso insostenibile sugli equilibri economici della società. Peso che infine soltanto lo stesso Sensi avrebbe sostenuto, al prezzo di sacrifici enormi di ordine personale e di riflessi negativi su quelle imprese industriali che invece erano state amministrate con solido realismo. Certo, non sono soltanto questi i motivi per i quali a Franco Sensi il popolo romanista è debitore di una gratitudine senza fine: anche perché era stato lui a salvare la società dal baratro del fallimento. Il grazie deve riguardare anche la battaglia sostenuta contro il potere occulto che avvelenava il calcio italiano, una battaglia che avrebbe pagato cara. Obbligatorio essere indulgenti con una innegabile tendenza ad accentrare i poteri, sulla scia del suo precedecessore Dino Viola, fino all'inspiegabile benservito ad Agnolin, che pure seguiva una stessa rigorosa linea politica. Ma questo ricordo non vuole essere una celebrazione, che il presidente nella sua innata bonomia non gradirebbe. Vuole invece rappresentare l'augurio di un amico sincero per un compleanno importante, una traguardo tagliato lasciandosi alle spalle tante amarezze e sensazioni di tradimento, ma anche momenti di straordinaria felicità. Cento di questi giorni, dal profondo del cuore.