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Vogliamo la coppa

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Prova a cancellare l'onta indelebile della sconfitta in una finalissima. Allora fu un Europeo, oggi addirittura una Coppa del Mondo. Dall'altra parte del campo ancora la Francia, sempre Zidane, di nuovo Trezeguet, l'uomo che ci castigò in quel supplementare maledetto a Parigi. In mezzo lo sfregio del golden gol in Corea altra emicrania inguaribile per la testa degli italiani «ammalati» di calcio (altro che aspirina!). Numeri e tradizione ci remano contro e il vento che soffia sul calcio italiano finora ha spazzato via solo figure, sagome e gente da poco, senza portare al cambiamento sperato: radicale, senza mediazione. Dentro o fuori, come in una finale: «dentro» chi ha sbagliato, fuori chi ha concusso. Il resto è il calcio, quello giocato, italiano e pulito come la gente pretende: e merita. Non vinciamo una partita a un Mondiale contro la Francia da 28 anni e giochiamo l'ultimo round della coppa del mondo ogni dodici. Almeno lì finora il bilancio è in pareggio: legnata in Messico contro il Brasile ('70), poi la coppa strappata proprio alla Germania a Madrid nell''82. Quella di Bearzot, Tardelli, Rossi, Cabrini. Gente che adesso sta qui, con qualche chilo di anni aggrappato all'addome, microfono in mano e con le dita incrociate a tifare ancora per quel pezzo d'azzurro che gli ha cambiato la vita. Il Rossi di adesso non corre sul campo ma intercetta, indaga e punisce. Pertini è un ricordo lontano ma sempre presente, la sua parte ora la fa Napolitano che a Berlino prima del match caricherà ancora un pò gli azzurri in vista dell'ultimo atto. E ora ci siamo è il grande giorno, c'è la finale e mai teatro di sfida più azzeccato. L'Olympiastadion di Berlino, dove stasera alle otto Italia e Francia si giocheranno la coppa del mondo di calcio, è esaurito in ogni pertugio. Duecentoquarantadue i milioni serviti per «rianimare» questo impianto che ha vissuto sulla sua pelle quella fetta di storia in cui Owens umiliò la Germania di Hitler e spalancò le porte a una nuova era dello sport mondiale. Spettacolo vero. Anche seimila euro per un biglietto della finale: vergogna vera. Ci sarà tutto il mondo «che conta», quello vero invece sarà aggrappato a uno schermo tv in tutto il pianeta. Il resto è una partita di calcio: novanta minuti per stabilire chi è il più forte. Non c'è il Brasile dei fenomeni sgonfiati proprio dai francesi, non c'è l'Argentina caterpillar partita forse troppo a razzo e che farà comparsata solo col fischietto Elizondo «eletto» a dirigere la partitissima. Ma soprattutto non c'è la Germania padrona di casa che in questo Mondiale aveva messo tutto. Idee, soldi ma anche la faccia. Solo Francia e Italia: le più compatte, più solide e forse più squadre. È la vittoria del collettivo sul fenomeno anche se qui di gente dai piedi buoni ce n'è a perdita d'occhio. L'Italia vuole vincerla questa finale e per farlo Lippi non cambierà nulla rispetto al passato. Sarà, almeno di partenza, la stessa squadra che ha spianato i padroni di casa: stessa gente, stesso modulo. Toni e Totti lì davanti con Pirlo a far girare il apllone a dettare i tempi della squadra. Gattuso e Perrotta a mancinare chilometri e la solita difesa fin qui impenetrabile. Poi bisogna vedere come si mette, perchè Lippi di varianti adesso ne ha più d'una, da Del Piero a Gilardino. Eppoi c'è De Rossi che finito il purgatorio rientra tra gli arruolabili azzurri. Lippi lo ha «fatto cuocere nel suo brodo» ma ora che può di nuovo averlo in campo, non è detto gli neghi la seconda occasione a partita in corso: a vent'anni si può sbagliare... la meriterebbe. Anche la Francia sarà la stessa di sempre, con quel modulo tanto spallettiano che mette paura. Difesa collaudata, due cagnacci come Vieira e Makelele qualche metro più avanti e poi una linea a tre di gran qualità. In mezzo l'estro infinito di Zidane che si gioca la sua ultima carta mondiale, la velocità di Malouda, l'imprevedibilità di Ribery e davanti l'implacabile Henry che all'Italia ha già fatto abbastanza male.

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