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di GIANFRANCO GIUBILO UNA strada lunghissima, ma all'orizzonte il sole sorride all'Italia.

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La legge di una finale ogni dodici anni, a partire dal '70, è stata rispettata, diciamo che la Germania era la meno pericolosa tra le grandi rivali che l'Italia aveva finora evitato. Per noi anche due pali e tante occasioni, poco per i nostri rivali, folla incapace di bilanciare la superiorità azzurra, le feste si celebrano dalle parti nostre. E non è detto che sia finita, quale che sia il nemico di turno nell'episodio finale di Berlino, verso il quale noi siamo già in viaggio. Subito un calcio alla noia, padrona in tente occasioni. Bel primo tempo, tra la numero 13 e la 19, per dirvi quanto valga il ranking Fifa, seconda la Repubblica Ceca e quinti gli Stati Uniti. Più arioso e manovrato il gioco dell'Italia catenacciara, l'armata tedesca votata al contropiede, una cosa quasi contro natura. Due occasioni per parte, ma era l'area della Germania quella sicuramente più frequentata. Ripresa più molle, meno energie, meno coraggio, tanta stanchezza, supplementari cercati, più che accettati. Due minuti, due pali clamorosi, alla faccia della fortuna, Italia avanti tutta con Iaquinta e Del Piero. Occasionissime per noi, ma niente rigori. Ci pensa Grosso. Ma la giornata offriva altri risvolti. Avevano avuto la delicatezza, chiamiamola così, di far slittare i deferimenti per il volto più infame del nostro calcio, per non turbare i prodi Azzurri impegnati in un confronto importante. Stavolta, a poche ore dalla partita più attesa, giù con la mannaia, forse anche oltre le previsioni e perfino gli auspici dei più assetati di giustizia: sommaria, magari, pur di avere la certezza che nessuno la passasse liscia. Adesso ci si domanda se il rispetto dei tempi, per onorare gli impegni stagionali a partire dalle iscrizioni europee, non stia tradendo in misura eccessiva quel minimo di garantismo che sarebbe logico attendersi, anche in un procedimento così anomalo in relazione ai canoni della giustizia ordinaria. Bocciate in un amen tutte le eccezioni e le richieste di testimonianze ulteriori, addirittura annunciata in anticipo l'ora dell'uscita dalla camera di consiglio, come tutto fosse già stabilito e nessuno dovesse permettersi di provocare il rallentamento di un iter che dovrà avere a ogni costo velocità supersonica. Ora, sarà anche vero che quando parte una raffica di richieste così drastiche, in genere l'obiettivo è quello di ottenere sentenze severe, ma che in un certo senso finiscano per fare accogliere senza drammi provvedimenti sostanzialmente equi. Ma le società e i singoli hanno probabilmente diritto a una più meditata difesa: senza arrivare all'ostruzionimo con le raffiche di citazioni, però disponendo di qualche giorno in più per opporre agli atti d'accusa meno precari e frettolosi argomenti a discarico. In questo momento, l'opinione pubblica vorrebbe probabilmente il massacro: però la Caf è chiamata a fare giustizia, non demagogia.

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