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dall'inviato DUISBURG — Della serie al ricorso storico non c'è mai fine.

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Il nome non dice granché, oltre al fatto che fin qui ha diretto altre quattro gare compreso il successo azzurro contro i cechi, se non fosse che fu proprio un arbitro della federazione messicana a dirigere la famigerata semifinale del '70 vinta dall'Italia 4-3: era Arturo Maldonando Yamasaki, peruviano di nascita ma naturalizzato messicano. Un motivo in più per pensare positivo per gli azzurri attesi dall'inferno del Westfalenstadion di Dortmund. L'impianto dove gioca il Borussia è in grado di ospitare ottantatremila persone, ma per i mondiali la Fifa lo ha «omologato» fino a un massimo di sessantacinquemila. Non pochi, visto che saranno solo tedeschi o quasi, per un tutto esaurito scontato. Ci sono voluti quasi quarantuno milioni di euro per trasformare il «vecchio» stadio (è tra i più antichi del Paese) in un impianto degno dei nuovi «mostri» ipertecnologici costruiti ad hoc per questo mondiale. Impianti ai quali però il Westfalenstadion dà una pista in quanto a bellezza, tradizione e impatto emotivo. Gradinate quasi verticali a un passo dal campo, privo ovviamente della pista d'atletica, fanno sentire la gente col fiato sul collo ai giocatori. In Germania la sfida contro l'Italia è vissuta come la partita della vita: quella del doppio riscatto, perché nella nostra storia calcistica di «sgarbi» ai tedeschi ne abbiamo fatti più di uno. La tradizione dei padroni di casa dice che su questo campo la Germania non ha mai perso vincendo tredici delle quattordici gare disputate e pareggiandone una sola: contro il Galles e bisogna tornare indietro fino al '77. Qui, in questo torneo, Klinsmann & Co. hanno già steso la Polonia e l'euforia per il ritorno a Dortmund è inevitabile. Giocano contro i nemici storici (calcisticamente parlando), nel loro Mondiale, proprio nel loro stadio fortunato. C'è tutto per una serata di festa che Totti & Co. proveranno a rovinare. Tiz. Car.

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